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21 Aprile 2025

L’asino, la croce scapolare e la Domenica delle Palme

Gli asini (secondo alcune fonti “tutti” gli asini, ma secondo altre fonti solo alcune razze) hanno una misteriosa croce nera disegnata sulla groppa.

Se dal punto di vista scientifico si hanno poche certezze in merito all’origine di questo carattere, in tante leggende troviamo una spiegazione in chiave cristiana, legata alla Settimana Santa.
Ancora una volta spieghiamo questa modalità come “bisogno”, da parte della gente, di leggere certe caratteristiche degli animali in chiave mistica o religiosa.

La cosiddetta “croce di Sant’Andrea” è una caratteristica distintiva presente in molte razze di asini, e consiste in due linee scure di peli che si incrociano al centro della schiena, fino alla sua estremità posteriore, a formare una croce, detta anche scapolare, riga mulina: una striscia scura lungo la linea dorso-lombare che si incrocia con una striscia trasversale sulle spalle.
Dal punto di vista scientifico, questa caratteristica è attribuita a specifiche combinazioni genetiche che determinano la pigmentazione del mantello.

Quali razze?

Questa peculiarità è particolarmente evidente in razze dal manto grigio, come l’asino dell’Amiata, l’asino corso, l’asino di Martina Franca, e l’asino romagnolo. Ma in realtà la croce esisterebbe sulla groppa di tutti gli asini, solo che in quelli scuri si confonderebbe con il manto nero: il condizionale è d’obbligo, dal momento che non ho trovato riferimenti scientifici in merito a questo argomento, ma solo considerazioni ed evidenze di appassionati.

Un soggetto molto amato dal popolo e dagli artisti

La croce sulla groppa dell’asino è un particolare molto preciso, che troviamo ritratto nelle testimonianze storico-artistiche dei passi biblici contenenti questo mite animale. D’altra parte, l’asino è il primo quadrupede ad avere un nome nella Bibbia (Genesi 12,16), e da quel momento viene nominato ben altre 150 volte.
Ma il passo più famoso e più amato dalla tradizione è senz’altro quello dell’entrata di Gesù a Gerusalemme nella Domenica delle Palme.
L’ esempio iconografico artistico più celebre è la raffigurazione di Giotto a Padova, dove Gesù è ritratto su un asino chiaro con una evidente croce di Sant’Andrea. Anzi, in realtà si tratta di un’asina, poiché in Matteo (21, 1-11) si precisa per ben tre volte: “un’asina e il suo puledro”.

Giotto – Cappella Scrovegni

La risposta del mito

La croce sulla groppa dell’asino ha suggestionato fortemente la curiosità popolare, che ha cercato di legare questa caratteristica, come sempre, a ragioni mistico-religiose: la croce è un segno lasciato da Dio proprio sul dorso dell’asino che portò Gesù a Gerusalemme il giorno della Domenica delle Palme.

La leggenda

La leggenda racconta che lo stesso asino che aveva portato Gesù a Gerusalemme la Domenica delle Palme, continuò a seguire il maestro fino al martirio. Lo seguì sul Calvario, lo seguì per tutta la via Crucis, e gli rimase vicino fino alla crocifissione. Addolorato dalla vista del martirio, l’asino “si voltò di schiena”, perché non riusciva a sostenere la vista della terribile scena. Allora l’ombra della croce gli cadde sulle spalle e sul dorso, e lì è rimasta per sempre, in memoria della pietas dell’asino verso il dolore di Gesù.

Perché Sant’Andrea?

C’è da chiedersi come mai venga chiamata Croce di Sant’Andrea, dal momento che non è decussata, cioè non è a X, ma è dritta. Probabilmente l’espressione “si voltò”, che ho trovato in tutte le versioni del racconto, serve a spiegare perché l’ombra della croce risulti “proiettata” col braccio orizzontale sulle scapole: se l’asino fosse stato frontalmente alla croce, infatti, l’ombra sarebbe stata ritratta al contrario, con il braccio orizzontale sulle anche, non sulle spalle.
Questo particolare deve aver colpito non poco l’immaginario popolare, che attribuì all’asino il gesto pietoso del “voltarsi” per troppo dolore.
In ogni caso la croce è dritta, e non decussata. A questo proposito possiamo ipotizzare la stessa spiegazione dell’agiografia cristiana sul martirio di Sant’Andrea: come Sant’Andrea, che chiese di essere crocifisso su una X, perché “non avrebbe mai osato eguagliare il Cristo nel martirio”, anche l’asino non avrebbe potuto portare su di sé, in quanto animale, il simbolo di Cristo tal quale. La croce viene forse definita “di Sant’Andrea” nel rispetto di quella “di Cristo”.

Le altre versioni

Secondo un’altra narrazione, Gesù raccontò a Dio quanto generoso fosse stato l’asino che lo aveva portato a Gerusalemme e che gli aveva offerto aiuto. Allora “Dio, dopo aver ascoltato le buone azioni dell’asino, benedisse l’animale e pose la croce sul dorso di tutti gli asini, per contrassegnarli come santi”.
Infine, secondo un’altra versione , riferita da Sante Acitelli, pare che “quando il Signore manderà i suoi strali sulla Terra, questi vedranno la croce e non colpiranno l’asino, animale benedetto dal Signore”.

La spiegazione “razionale” di Voltaire

In numerose località si raccontano leggende o si tengono rievocazioni storiche dell’entrata a Gerusalemme nella Domenica delle Palme, simili alle Sacre Rappresentazioni, e in tutte troneggia la figura dell’asino. Altrettante sono le rievocazioni di “processioni dell’asino della Domenica delle Palme” nella tradizione medievale di tutta la cristianità.
Ci piace citare qui la storia legata alla ”statua della Muleta, scultura lignea del XIV secolo custodita nel convento di S. Maria in Organo” (Verona). La leggenda narra che la statua della Muleta (o Muletta, o Mussetta) contenesse al suo interno la pelle dell’asino che aveva trasportato Gesù a Gerusalemme. Da Verona la leggenda si sarebbe diffusa in Francia, dove questa favola veniva addirittura raccontata durante la messa.
Ecco perché è il francese Voltaire, nel suo “Dizionario filosofico” il primo che tenta di spiegare razionalmente la leggenda, grazie alla croce scapolare: il popolo, per motivare quella croce, “avrebbe inventato” la storia dell’ombra ritratta sulla schiena.
In tal modo, il filosofo illuminista opera il procedimento contrario a quello dell’immaginario popolare: c’è prima la croce scapolare e poi il Vangelo, mentre per il popolo c’è prima il Vangelo e poi la croce scapolare.
Curioso, ma inspiegabilmente ignorato dagli studiosi, il fatto che il termine “organo” di S. Maria in Organo sia l’anagramma di “onagro”.

Asino buono, asino malvagio

Il simbolismo dell’asino fa ancora discutere, oscillando dal valore positivo a quello negativo con estrema facilità.
Nella mitologia greca, gli asini erano associati al dio Dioniso, il dio del vino e della festa. Una delle storie più affascinanti racconta di come gli asini aiutassero Dioniso a superare un fiume e di come, per ringraziamento, il dio elevò questi animali al cielo, creando una costellazione visibile nelle notti di luna piena.
Nella simbologia cristiana rappresenta invece il “perfetto simbolo della coincidentia oppositorum”. Da un lato quasi un simbolo dell’ottusità e dell’anti-cristianesimo, come leggiamo nel Fisiologo, dall’altro quello della mitezza e della remissività che lo assimila all’agnello.
Nella cultura cristiana post-medievale viene valorizzato il simbolismo dell’umiltà dell’asino: «Il mite è […] colui che lascia essere l’altro quello che è, anche se l’altro è l’arrogante, il protervo, il prepotente. Non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere, e alla fine di vincere» così Norberto Bobbio nel suo Elogio della mitezza.
Ma, direi soprattutto, l’asino è un animale troppo caro al mondo rurale e contadino, che spesso e volentieri lo ha protetto dal discredito inventando altrettante favole e leggende positive.
In occasione della Domenica delle Palme ci piace legare questo antichissimo animale a tutti i valori buoni della razza: mitezza, tenacia, resistenza, docilità: fino a un certo punto, eh.
Poi vige la legge che, alla lunga… un buono poi diventa cattivo e ti fa male sul serio.

L’importante è che dopo tanti secoli di disprezzo e di utilizzo e sfruttamento indiscriminati, questo animale domestico sta finalmente ottenendo oggi la sua prima grande rivalutazione: oggi ne vediamo tutto il buono (certamente non in senso culinario), ma lo apprezziamo come docile compagno della vita rurale, capace di fare cose che nessuna macchina riesce ad imitare.
Come, per esempio, scalare montagne impervie.

Ma questa è una storia che ha a che fare con gli Alpini, e la racconteremo un’altra volta.

Luisa Nardecchia

“Centro Studi per la Biodiversità” – PASSIONECAITPR

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