Un Duc in dono al vecchio Eroe
La vettura del Generale è un Duc uscito dalla sede torinese della Carrozzeria Cesare Sala, sita in Via dell’Ospedale 18, ossia l’attuale Via Giolitti. La cassa, verniciata in nero, è sorretta su balestre a “C” con verricello per regolarne la tensione, le cinghie di sostegno e le sottostanti cinghie di oscillazione. Ha una seduta di ampio respiro sotto al mantice reclinabile in cuoio nero, con interno blu e divanetto in capitonné blu chiaro, rivestimento tuttavia non più originale. In cuoio sono pure l’ampio ventaglio ed i parafanghi. Le ruote anteriori presentano 12 raggi, le posteriori 14, sono tutte cerchiate in metallo e filettate in rosso scuro sui gavelli ed all’interno dei raggi.
Non sono più presenti i fanali originali. La carrozza non è dotata di freni. Questo Duc veniva guidato a la Daumont, prodotto tra il 1873 ed il 1877, e donato a Giuseppe Garibaldi dopo l’Unità d’Italia, dal re Vittorio Emanuele II. Il re d’Italia desiderava rendere omaggio all’Eroe dei due Mondi che, con la riuscita Spedizione dei Mille, aveva consegnato a Casa Savoia il Meridione permettendo l’unificazione del Paese. Durante un incontro col condottiero, Vittorio Emanuele II gli chiese di esprimere il desiderio, che maggiormente gli stesse a cuore, perché il re potesse accontentarlo.
Garibaldi, ormai più che settantenne, chiese molto umilmente al re soltanto il favore di potere riconoscere i propri figli, Clelia e Manlio, e di potere quindi trasmettere loro legittimamente il cognome Garibaldi. Il Generale infatti, pur vivendo more uxorio con la sua compagna Francesca Armosino dalla quale rispettivamente nel 1867 e nel 1873 aveva avuto i due figli, risultava ancora sposato con la marchesa Giuseppina Raimondi. Il matrimonio sarebbe stato annullato dalla Corte d’Appello di Roma dopo lunghissime vicende, permettendo a Giuseppe Garibaldi sposare l’Armosino solo il 26 gennaio 1880, un paio d’anni prima di morire a La Maddalena. Vittorio Emanuele II, bonario ed imbarazzato, alla richiesta si scusò di non poterlo accontentare dicendo: “Mio buon Garibaldi, siamo sulla stessa carrozza, neppure il re può purtroppo legittimare i propri figli, men che meno quelli di un suo generale!” Alludeva egli infatti ai suoi propri figlioli nati dalla relazione con l’amata Rosa Vercellana, la Bela Rosin: Emanuele e Vittoria cui era stato posto il cognome Guerrieri di Mirafiori.
E tuttavia, quel medesimo destino dei due uomini, l’essere, come si erano confidati, “sulla stessa carrozza”, cioè nella stessa situazione, si concretizzò nel dono del Duc, una notevole carrozza di una pregiata casa di carrozzieri. Garibaldi, provetto cavaliere, detestava le carrozze di gala o eccessivamente sontuose, ma accettò invece felicemente il dono del re perché, ormai impedito nei movimenti da una grave forma di artrosi, si avvantaggiava del prezioso legno per spostarsi in Roma. La vedova Francesca Armosino donò la carrozza oggi conservata nella sala di Palazzo Carignano alla Città di Torino nel 1897, destinandola al Direttore del Museo Civico dell’epoca, il pittore Vittorio Avondo, perché nell’erigendo Museo del Risorgimento essa avesse “sede colle altre memorie patrie”.
Museo Nazionale
del Risorgimento Italiano
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