Nelle fratture della terza falange (una delle ossa contenute nella scatola cornea dello zoccolo), le opzioni possibili sono rappresentate dalle ferrature terapeutiche oppure da interventi chirurgici di osteosintesi e di asportazione dei frammenti. Naturalmente tale scelta non è arbitraria ma condizionata dal tipo della frattura.
Nel caso in cui la frattura produca pezzi grandi è pensabile una riduzione chirurgica con viti compressive, le quali avranno accesso alla terza falange attraverso piccoli fori praticati sullo zoccolo.
Al contrario, la frattura può interessare piccole parti della terza falange come i processi retrossali. Nella fattispecie, la terza falange assomiglia un po’ ad un croissant: possiede due cornetti rivolti caudalmente denominati processi palmari e plantari a seconda che appartengano all’arto anteriore o a quello posteriore. I processi retrossali fanno parte dei processi palmari e plantari.
La storia che mi accingo a raccontare è appunto un caso di frattura di un processo retrossale.
Un paio d’anni fa’ i miei occhi s’incontrarono con quelli di un puledro quarter horse di due anni che presentava una grave zoppia posteriore, monolaterale destra. Lo comprai e dopo una diagnosi di sede, richiesi un’indagine radiologica della terza falange. Il processo retrossale destro era fratturato. Tale frattura non era riducibile chirurgicamente e anche se lo fosse stato, non sarebbe risultato economicamente proponibile nel mio caso. Il dolore era intenso al punto che il cavallo appoggiava l’arto al suolo solo con la punta dello zoccolo. Ciò impediva l’elaterio o espansione del piede in appoggio il quale avrebbe aumentato l’intensità del dolore. Preparai quindi un ferro che mimava il tipo di appoggio desiderato dal cavallo, rialzando i talloni al fine di scaricare il peso in punta. Aggiunsi inoltre delle barbette a livello dei quarti che annullassero l’elaterio in modo da immobilizzare i capi di frattura. Non mi restava allora che “appiccicare” il ferro…
L’infissione dei chiodi nell’unghia dolente era improponibile anche usando mezzi di contenzione: in futuro il cavallo avrebbe rifiutato di essere ferrato. Fortunatamente la ricerca, già sensibile al problema, mi veniva incontro con diverse soluzioni. Potevo forgiare numerose barbette al ferro, forarle e fissarle con viti oppure praticare dei tragitti nell’unghia con un trapano per fissare il ferro con suture metalliche. Le eventuali vibrazioni prodotte dal trapano avrebbero potuto aumentare la sensazione di dolore fino a richiedere l’insensibilizzazione della parte con anestetici locali.
Da parte mia, optai per il fissaggio del ferro con viti autofilettanti attraverso opportune stampe rotonde. Non si trattava di una soluzione ortodossa, la migliore soluzione rimaneva il fissaggio delle barbette con viti, tuttavia periodiche revisioni mi avevano permesso di non ricorrere a tanto!
In poche settimane la frattura non rappresentò più un problema tuttavia non avendo ripetuto le indagini radiologiche, non v’era certezza di una restitutio ad integrum.
Purtroppo mi resi presto conto delle vere cause della frattura: il soggetto era affetto da atassia spinale locomotoria o wobbler’s syndrome! Tale patologia obbligava il cavallo a correggere i movimenti degli arti onde evitare cadute. Gli zoccoli atterravano violentemente, come capita a tutti noi in conseguenza di un inciampo.
Mischiamo allora un po’ di wobbler’s syndrome con un’alimentazione carenziale, che vanno d’accordo come il cacio sui maccheroni e otterremo una bella frattura a carico dei processi plantari della terza falange!
La storiella, nonostante ciò che era mia apparente intenzione provare, ha dimostrato che l’anestesia locale non è indispensabile nella ferratura di uno zoccolo dolente, vista l’esistenza di tecniche alternative di fissaggio dei ferri. A tal proposito ricordo che sia l’uso del martello che quello del trapano possono provocare nell’unghia dolente, ulteriori dolorose vibrazioni.
Nella prassi può capitare invece di trovarsi nell’impossibilità di ferrare un piede sano a causa della difficoltà dell’animale di reggersi sul controlaterale dolente. Ancora può succedere che entrambi gli zoccoli siano dolenti perciò che il cavallo non offra nessuno dei due alla ferratura come in caso di laminite. Nei suddetti casi la qualità della ferratura risulterà in stretto rapporto con la difficoltà con cui il soggetto riuscirà ad offrire i piedi. In una situazione simile versiamo noi quando ci sottoponiamo all’intervento di un odontoiatra poco perito nelle anestesie locali: il dolore ci impedisce l’immobilità inficiando l’esito dell’intervento.
Ognuno di noi ha sentito parlare il proprio dentista di anestesia intraligamentosa, plessica, tronculare e forse intraossea…
Analogamente un’anestesia di sbarramento o meglio una tronculare, può essere utile nella ferratura di certi zoccoli. Una volta ferrato il piede dolente tramite le tecniche già descritte, si procede se necessario all’anestesia del piede dolente e infine alla ferratura di quello sano. Inutile dire che si rende necessaria la presenza di un veterinario e che comunque, raramente è richiesta la ferratura di un piede controlaterale a uno dolente visto che in tal caso il cavallo va’ tenuto fermo.
Ciononostante, ci sono occasioni nelle quali è utile ferrare anche il piede sano benché solo per agevolarlo a sopperire alla aumentata richiesta di lavoro.
Quando invece il dolore è bilaterale e non si può fare a meno di ferrare il soggetto, come può capitare nelle laminiti, è possibile anestetizzare un piede per ferrare l’altro, vicendevolmente.
Alcuni anestetici locali contengono dei farmaci vasocostrittori come l’adrenalina. I farmaci vasocostrittori ostacolano il passaggio in circolo dell’anestetico permettendo a quest’ultimo una prolungata presenza nel sito d’azione. Il piede del cavallo non sopporta bene la vasocostrizione, la conseguente ischemia e l’eventuale perdita di quote plasmatiche, perciò non è indicato usare anestetici locali potenziati da composti ad azione vasocostrittrice!
L’impiego in mascalcia degli anestetici locali non è proprio una pratica di routine. L’anestesia loco-regionale degli arti del cavallo è una pratica molto ben collaudata soprattutto per quanto riguarda la diagnostica delle zoppie, per individuarne la sede. Le tecniche di anestesia locale usate in diagnostica risulterebbero quindi utili anche in mascalcia se qualcuno si prendesse il disturbo di integrare le nozioni di anestesiologia diagnostica (semeiologica) con quelle di mascalcia, al fine di codificare i diversi protocolli da seguire nei vari casi possibili.
In conclusione, in attesa che qualche autorità sostenga o confuti l’impiego di anestetici locali in mascalcia, è libero arbitrio del veterinario decidere se e quando sia il caso di anestetizzare gli arti del cavallo al fine di agevolare la ferratura nei casi di zoppie monolaterali o bilaterali alte o basse che siano, essendo egli consapevole che il dolore podale e degli arti influisce sulla qualità della ferratura, condiziona le successive ferrature a causa del “brutto ricordo” prodotto nel cavallo e impedisce al maniscalco di lavorare nelle migliori condizioni.