Per chi come me è appassionata di natura e biodiversità, e da oltre vent’anni gira tra masserie, pascoli e archivi polverosi, ogni volta che torno sulla Murgia ho la sensazione precisa di entrare in un libro che non ha mai smesso di essere scritto. Non un volume nostalgico, ma una bozza continua del futuro. Il Cavallo Murgese ne è uno dei capitoli più lucidi.

Quando Italo Calvino immaginava le sue “proposte” per il nuovo millennio, invitava a cercare leggerezza senza superficialità, esattezza senza irrigidirsi, visibilità senza spettacolarizzare, coerenza senza chiudersi.
Se proviamo, con un minimo di coraggio intellettuale, ad applicare quello sguardo al Murgese nel suo centenario, ci accorgiamo che questa razza non è soltanto un patrimonio ippico: è un dispositivo culturale, economico ed ecologico perfettamente allineato con le sfide che l’Agenda 2030 ci mette davanti.
La storia del Murgese nasce da un atto di lucidità collettiva: allevatori che, nel 1925, rifiutano compromessi facili e scelgono di riconoscersi in una tipicità netta, leggibile, verificabile.
Non è folclore: è governance ante litteram.
È la consapevolezza che una razza non è un capriccio estetico, ma un patto tra genetica, territorio e comunità. Questo patto oggi coincide con parole che riempiono documenti internazionali e piani strategici: biodiversità funzionale, resilienza degli ecosistemi rurali, valorizzazione delle aree interne, sovranità alimentare, turismo sostenibile, identità dei paesaggi culturali.
Cent’anni dopo, mentre l’agenda globale ci chiede di fermare l’erosione della diversità biologica (SDG 15), garantire sistemi alimentari sostenibili (SDG 2), promuovere lavoro dignitoso nelle aree marginali (SDG 8) e combattere lo spopolamento dei territori fragili, il Murgese offre una risposta concreta, non teorica.
È una razza adattata a un altopiano aspro e bellissimo, capace di vivere all’aperto, lavorare, accompagnare l’uomo, sostenere nuovi modelli di turismo lento, didattico, ambientale. È un alleato operativo per mantenere aperti i pascoli, gestire il mosaico agro-pastorale, ridurre il rischio incendi, dare senso economico e dignità professionale a chi resta.

Quattro i punti cardine su cui riflettere
Per questo le quattro parole chiave che seguono – Tipicità, Sanità, Carattere, Addestramento – non vanno lette solo come linee tecniche di un addetto ai lavori.
Sono, di fatto, una politica pubblica potenziale. Un micro-manifesto per i prossimi cent’anni del Murgese e, attraverso di lui, per una nuova alleanza tra allevatori, istituzioni, ricerca scientifica e comunità locali.
Tipicità vuol dire riconoscibilità, trasparenza, tracciabilità: ciò che rende una razza credibile agli occhi del mercato e, allo stesso tempo, difendibile come risorsa genetica unica.
Sanità significa responsabilità: selezionare con metodo, usare la genetica come strumento di prevenzione e qualità, non come slogan.
Carattere è il ponte etico tra uomo e cavallo: l’eredità di un animale affidabile, cooperativo, selezionato dalle famiglie rurali non solo per la forza, ma per la compatibilità con la vita quotidiana.
Addestramento, infine, è la chiave educativa: trasformare un patrimonio genetico e culturale in competenza diffusa, in professionalità, in filiere che non si limitano a “vendere cavalli”, ma a generare valore territoriale.
Expertise al servizio del mondo allevatoriale
In un secolo in cui troppe razze locali sono state sacrificate sull’altare della standardizzazione, il Murgese sta qui a ricordarci che la vera modernità è saper custodire ciò che è specifico, radicato, irripetibile. Non per tenerlo sotto vetro, ma per proiettarlo nel mondo come modello replicabile di gestione intelligente della biodiversità.
Questo intervento del Direttore di ANAMF, Dott. Paolo Piccolino Boniforti, allora, non va ascoltato solo come celebrazione. Va assunto come un programma di lavoro. Per gli allevatori, che diventano protagonisti consapevoli di una selezione responsabile.
Per l’Associazione, che assume il ruolo di garante tecnico e culturale.
Per le Istituzioni, che qui trovano una dimostrazione concreta di come una razza autoctona possa incarnare gli obiettivi dell’Agenda 2030 meglio di tante campagne patinate.
Chi saprà leggere queste quattro proposte con la serietà di chi ama il proprio mestiere e la leggerezza di chi sa guardare lontano, contribuirà a scrivere non solo i prossimi cent’anni del Cavallo Murgese, ma una pagina avanzata di politica della biodiversità nel Mediterraneo rurale. Perché le razze passano alla storia quando smettono di essere solo cavalli, e diventano una forma di intelligenza collettiva del territorio.
Annalisa Parisi #savethebiodiversity
Centro Studi Per la Biodiversità

Quattro proposte per i prossimi 100 anni del Cavallo Murgese
(intervento del dott. Paolo Piccolino Boniforti – direttore ANAMF, Fieracavalli, 8 novembre 2025)
Quando una razza compie cent’anni, il rischio è quello di trasformare la storia in museo.
Nel caso del Cavallo Murgese, invece, la ricorrenza diventa un’occasione per guardare avanti. Non celebrazione nostalgica, ma progetto: quattro proposte per i prossimi cento anni, come quattro assi cartesiani su cui disegnare il futuro di una razza che appartiene alla Murgia, all’Italia e a chiunque creda nella biodiversità come infrastruttura del domani.
Le parole chiave sono semplici e radicali: Tipicità, Sanità, Carattere, Addestramento. Non sono slogan tecnici. Sono gli strumenti con cui il Murgese può continuare a essere un cavallo vero, riconoscibile, utile, contemporaneo.
Un modello di coerenza tra selezione, territorio, cultura tradizioni e responsabilità verso il futuro.
1. Tipicità
Per capire il Murgese bisogna tornare a quel verbale del 30 aprile 1925. Non è soltanto un atto amministrativo: è la prova che gli allevatori della Murgia avevano un’idea precisa di cavallo. A tal punto definita da portarli a rifiutare i riproduttori proposti dall’Istituto di Incremento Ippico se non rispondevano a quei requisiti.
Il concetto moderno di razza, inaugurato in Inghilterra circa 250 anni fa con Robert Bakewell, descrive un gruppo di animali di una stessa specie che presenta caratteristiche morfologiche sufficientemente omogenee da distinguerli da altre razze. Una distinzione che si mantiene scegliendo accoppiamenti interni alla razza ed evitando incroci indiscriminati.
Le razze esistono biologicamente, certo. Ma la loro esistenza è anche un fatto culturale: sono il risultato di una scelta dell’uomo, di un principio identitario che rende quei cavalli unici, riconoscibili, diversi dagli altri (Gandini, Pagnacco, 2025). Qui entra in gioco il territorio: adattamento all’habitat, risposta ai bisogni economici, rispetto delle tradizioni. La razza, se è vera, è sempre un patto tra natura e comunità.
Negli attuali Libri Genealogici gli standard del Murgese sono definiti, ma in alcuni passaggi, a una lettura non specialistica, possono risultare generici. È proprio lì che bisogna intervenire: per rendere la tipicità leggibile da tutti, anche da un occhio non allenato.
Il Cavallo Murgese offre già parametri chiari:
- Macro-caratteri: altezza, struttura, proporzioni, colore del mantello.
- Caratteri medi: profilo e lunghezza della testa, attacchi, armonia d’insieme.
- Caratteri micro: lunghezza delle orecchie, espressione degli occhi, tessitura dei crini, qualità e conformazione del piede.
Una razza riconoscibile genera fiducia. Rassicura il proprietario sulla qualità del cavallo, lo coinvolge nel percorso selettivo, lo rende parte di una storia. Per l’Associazione significa distinguersi dai concorrenti, creare desiderio, consolidare il mercato, stabilizzare i prezzi anche nei momenti difficili. Tipicità, qui, non è chiusura: è la condizione per dare al Murgese un’identità solida nel panorama globale.
2. Sanità
La seconda proposta è tanto semplice da risultare rivoluzionaria: produrre cavalli sani.
Sanità non è un auspicio, ma una scelta selettiva. Significa escludere dalla riproduzione i soggetti portatori di patologie accertate come geneticamente ereditarie. Alcune razze già applicano protocolli precisi; altre patologie richiedono ulteriori studi, screening mirati, collaborazione tra associazioni, veterinari, genetisti.
Nel caso del Murgese, particolare attenzione merita l’Osteocondrite Disseccante (OCD). La letteratura scientifica indica cause multifattoriali: predisposizione genetica, gestione dell’attività fisica, dieta, disturbi metabolici. Il mercato, soprattutto estero, richiede sempre più spesso soggetti accompagnati da indagini radiografiche che attestino l’assenza di OCD.
Poiché la patologia compare in età precoce, è ragionevole ritenere che, oltre alla genetica, anche il sistema di allevamento giochi un ruolo importante. Regimi alimentari eccessivamente energetici e proteici senza un adeguato movimento, oppure, all’opposto, puledri sottalimentati, messi al lavoro troppo presto, o allevati in condizioni ambientali sfavorevoli, sono concause da non sottovalutare.
Accompagnare il cavallo fin dai primi mesi con criteri corretti di alimentazione, movimento e gestione significa costruire, insieme, selezione genetica e benessere. Significa dare al Murgese una credibilità tecnica che parla il linguaggio dell’Europa, dei mercati internazionali e, soprattutto, dell’etica.
3. Carattere
Domare il tempo attraverso il carattere: è questo che l’uomo ha fatto con il cavallo lungo cinquemila anni.
La domesticazione equina è stata possibile perché alcuni requisiti comportamentali lo consentivano: scarsa aggressività verso l’uomo, adattabilità alimentare, buona capacità riproduttiva in cattività, crescita relativamente rapida, struttura sociale gerarchica in cui l’uomo può inserirsi, convivenza possibile tra sessi ed età diverse (Gandini, Pagnacco, 2025).
Da Senofonte in poi, chi si occupa di cavalli ha capito che le migliori prestazioni nascono dal rapporto, non dalla forza: comprensione, fiducia, cooperazione. La selezione rurale tradizionale ha fatto il resto. Le famiglie contadine non potevano permettersi cavalli ingestibili: servivano soggetti capaci di lavorare nei campi, trainare carichi, accompagnare la famiglia alla messa, partecipare alle feste di paese. Chi non rientrava in questo equilibrio veniva escluso dalla riproduzione.
Così, generazione dopo generazione, si è fissato il carattere delle nostre razze. Il Murgese è figlio di questa storia: affidabile, equilibrato, versatile. Un patrimonio genetico e comportamentale oggi riconosciuto e ricercato da utenti molto diversi: turismo equestre, sport, lavoro, scuola di equitazione, progetti educativi.
Le conoscenze moderne di etologia e di gestione del comportamento ci permettono non solo di conservare questa dote, ma di valorizzarla. La lettura delle diverse “personalità del cavallo” – l’Horsenality teorizzata e applicata da Pat e Linda Parelli – offre strumenti concreti per abbinare cavalli, persone e discipline in modo più consapevole. Conoscere le inclinazioni naturali di ciascun soggetto significa ottenere migliori risultati tecnici e, insieme, garantire sicurezza ed equilibrio emotivo, per il cavallo e per l’uomo.
4. Addestramento
Il Cavallo Murgese e la sua terra non si spiegano l’uno senza l’altra. Sono due testi che si leggono in parallelo.
Conservare la razza non vuol dire soltanto preservarne il patrimonio genetico, ma salvaguardare il sistema di allevamento che l’ha generata: il clima, l’orografia, il pascolo, la vita di branco, la convivenza con altre specie, le masserie come luoghi di relazione continua tra uomo e animali. È ciò che possiamo chiamare Metodo Masseria.
Nel Metodo Masseria, dai primi giorni di vita fino all’età adulta, il puledro cresce in un ambiente che favorisce uno sviluppo armonico, fisico e mentale. Questo modello non è un vezzo locale: è un patrimonio immateriale che meriterebbe un riconoscimento formale. Dentro ci sono storia, lavoro, pratiche pastorali, prodotti tipici, architetture rurali, saperi tramandati. È la Murgia che si racconta attraverso i suoi cavalli.
Per affrontare il mercato contemporaneo, però, a questa base serve una competenza tecnica strutturata. L’addestramento deve iniziare presto, in modo etico e intelligente. Il primo contatto con l’uomo – l’imprinting – ha un valore decisivo: odori, suoni, gesti, modalità di avvicinamento restano come un programma di base nella memoria del puledro. Non si cancellano, si aggiornano.
Dal momento dello svezzamento si può proseguire con piccole esperienze guidate: tocco delle diverse parti del corpo, accettazione della capezza, rispetto delle distanze, abitudine al trasporto. Tutto con gradualità, coerenza, pazienza. Così, in ogni fase in cui il cavallo potrà essere ceduto – puledro, giovane in lavoro, soggetto formato – chi lo acquista troverà un animale preparato alle richieste minime: visite veterinarie, mascalcia, gestione quotidiana, inizio della doma, sia essa classica, inglese o western.
Responsabilità e fiducia reciproca diventano, in questo quadro, il vero risultato dell’addestramento. Non un cavallo “rotto”, ma un compagno affidabile, coerente con la sua storia e pronto ai compiti del futuro.
Queste quattro proposte non sono un omaggio al passato, ma un invito ad avere più coraggio. Tipicità, Sanità, Carattere, Addestramento: se presi sul serio, diventano il linguaggio con cui il Cavallo Murgese può parlare al mondo di biodiversità, etica, paesaggio, lavoro, tradizione e innovazione.
Chi saprà raccogliere questo invito – allevatori, tecnici, istituzioni, appassionati – contribuirà a scrivere non solo i prossimi cent’anni di una razza, ma una pagina più matura di civiltà rurale ancora attuale.
Felix qui potuit rerum cognoscere causas.
“Felice chi ha potuto conoscere le cause delle cose”
(Virgilio, Georgiche, II, 489-490)
























































