«Le gare a squadre sono davvero emozionanti. Poi io in generale l’emozione la sento tantissimo, mi prende dentro»
C’è un qualcosa di estremo nel regolamento per le gare a squadre quando si prevede che l’eventuale barrage lo debba affrontare uno solo dei quattro binomi: perché se va bene è la gloria, se va male… In alcuni casi, poi, se le cose vanno a finir bene vincono tutti, se invece vanno a finir male perde solo il solitario sacrificato. Ma Riccardo Rango a Verona lo scorso novembre non si deve esser posto il problema: la vittoria del Gran Premio delle Regioni era lì a portata di mano per lui, per la sua squadra e per tutto il Veneto. Sarebbe bastato fare una cosetta da niente facile facile: chiudere a zero penalità e con un tempo migliore di quello dell’avversario… Riccardo con Hispanico l’ha fatto e così il Veneto ha vinto. Molto semplice.
«Le gare a squadre sono davvero emozionanti. Poi io in generale l’emozione la sento tantissimo, mi prende dentro».
A Verona allora sarà andata a mille, la sua emozione.
«Sì, abbastanza… Nel primo percorso non tanto: avevamo già tre netti, la mia prestazione non avrebbe avuto alcun esito sul risultato della squadra. Per il secondo giro la tensione è cresciuta, ma sono riuscito a tenerla a bada e così è arrivato il secondo percorso netto. Devo dire che il mio cavallo, Hispanico, è stato formidabile. Ho montato pochi cavalli con una testa come la sua, con la sua formidabile voglia di vincere. Secondo me lui ha avvertito la mia emozione: nel secondo percorso infatti l’ho sentito più carico, più vibrante. Per non dire del barrage: sembrava avesse capito quello che doveva fare. Il mio sforzo è stato solo quello di affidarmi a lui. Come se avesse detto: lasciami fare che ci penso io».
Il c.t. Angelo Cristofoletti le ha detto qualcosa di particolare?
«È stato bravissimo perché non mi ha messo alcuna pressione addosso: mi ha dato invece molta tranquillità. Non mi ha detto subito che sarei stato io il prescelto per andare in barrage, così non mi ha lasciato tempo per far crescere l’emozione. Mi ha aiutato molto in questo».
Quindi non si è discusso con la squadra per decidere chi sarebbe dovuto entrare per il barrage.
«Può anche darsi che l’abbiano fatto senza dire nulla a me, per lasciarmi tranquillo! Cristofoletti ne ha parlato di certo con mio padre e lui, conoscendomi bene, gli avrà consigliato di avvisarmi solo… dopo avermi fatto entrare in campo!».
Lei è entrato dopo il suo avversario, il lombardo Roberto Previtali: vantaggio o svantaggio entrare per secondo?
«Vantaggio senza dubbio. Ho potuto vedere le traiettorie di Roberto e quindi decidere dove eventualmente poter recuperare qualcosa. Lui aveva una cavalla molto piccola che girava molto stretto ma con poco galoppo».
Che poi Previtali è uno che quando c’è da andare veloce non sta lì a farsi pregare…
«Sì, infatti la tensione non era poca davvero. Alla fine sono riuscito a stargli davanti per meno di un secondo. Lui è uno che in queste situazioni non si tira certo indietro. Infatti la mia soddisfazione è enorme: io non sono famoso per la velocità… ».
Il suo 2013 si è chiuso molto bene: oltre a Verona, c’è stata l’ottima prestazione nel Gran Premio di uno dei due Csi di Manerbio, alla fine di ottobre, con quell’8° posto su Cortaldo che rappresenta il suo miglior risultato in un GP internazionale.
«È vero, sì. Direi che il 2013 è stato un anno di transizione, ma qualche soddisfazione sono riuscito a togliermela».
Non è stato l’anno più importante della sua carriera sportiva?
«Forse da un punto di vista agonistico sì, più che altro perché ho cominciato a fare cose un po’ più difficili nelle gare seniores. Non ho avuto chissà quali risultati però credo di aver fatto delle esperienze importanti che spero possano servire per il futuro. Dal punto di vista delle soddisfazioni personali, forse il 2008 è stato più importante: con i pony ho vinto il Campionato d’Italia assoluto e ho fatto il Campionato d’Europa. Cose piccole rispetto a quelle dell’anno scorso, ma va tutto in proporzione».
Quel Gran Premio a Manerbio, il primo dei due…
«Sì, nel secondo ho un po’ perso la testa… ».
Ma sì, può succedere. Però in quel primo lei è sembrato un cavaliere molto preciso, molto consapevole. A che punto sente di essere nel percorso della sua formazione tecnica e agonistica?
«Credo che nel nostro sport non si finisca mai di imparare. La cosa più importante è quella di non sentirsi mai arrivati. Diciamo che il risultato positivo di quel Gran Premio è stata una piccola conferma della bontà del lavoro che ho impostato da poco più di un anno e del quale protagonista assoluto è Stefano Cesaretto. Lui mi sta aiutando tantissimo a migliorare la mia capacità e le mie conoscenze non solo sotto l’aspetto tecnico ma anche per tutto quello che riguarda l’organizzazione del lavoro e della gestione di una scuderia sportiva: Stefano è davvero un grandissimo uomo di cavalli, come ormai mi sembra che ce ne siano sempre meno. Per questo mi reputo molto fortunato».
Come avviene la collaborazione con lui: lui viene da lei o è lei che lo raggiunge presso la sua scuderia?
«Il martedì e il mercoledì vado io in scuderia da lui con i miei cavalli. Poi stiliamo insieme il calendario dei miei concorsi. Se Stefano e Giulia (Martinengo Marquet, moglie di Stefano Cesaretto, n.d.r.) vanno a un concorso fattibile anche per me allora li seguo. Anche Giulia mi è di grandissimo aiuto e sostegno: per me è un grande privilegio poter contare sui suoi consigli e suggerimenti».
Che poi, a voler fare anche un po’ di cronaca rosa, c’è un altro elemento della famiglia Cesaretto particolarmente significativo per lei…
«Più che significativo direi molto molto molto importante!».
Benedetta, figlia di Stefano, ha un ruolo centrale nella sua vita, si direbbe.
«Sì, ho la fortuna di avere al mio fianco una ragazza favolosa, una persona che mi aiuta tantissimo nel dare stabilità alla mia vita. Lei è molto equilibrata, matura, per me è davvero fondamentale».
Non che l’aspetto fisico sia determinante, ma Benedetta è anche bellissima…
«Devo dire di sì, proprio molto».
E tanto per rimanere in tema sembra che anche lei, Riccardo, riscuota un certo apprezzamento da parte del pubblico femminile ai concorsi…
«Io… mah, non lo so, io sono un timidone, io so solo che quando ho la Benni vicino a me sono felice e sto bene. Non desidero altro. Non ci potrebbe essere situazione migliore per me».
Rimanendo in famiglia ma tornando allo sport: suo padre Nicola è probabilmente fondamentale per lei come cavaliere.
«Certo, è grazie a lui che posso percorrere la strada che sto percorrendo ogni giorno. Lui mi ha dato basi importantissime da cui partire: non solo da un punto di vista tecnico e di insegnamento, ma anche con i cavalli che mi ha messo a disposizione, con una scuderia, un centro ippico… ».
È facile essere figlio e allievo nello stesso momento?
«Eh no, non è facile per niente, anche se ci si sforza di tenere separate le due situazioni: perché in alcuni momenti è impossibile separarle. Quando si hanno opinioni diverse su qualcosa è difficile stabilire dove finisce il figlio e comincia l’allievo, o viceversa. Oppure anche il collaboratore, visto che io per quanto poco cerco di dare una mano in scuderia».
Quindi lei segue anche gli allievi?
«Sì, una decina più o meno».
E le piace?
«Sì, molto, trovo che poter insegnare ciò che in precedenza si è appreso nel ruolo di allievo sia una cosa molto bella. E poi insegnare è per me anche un modo per imparare, vista la mia giovane età, un motivo di riflessione. Perché per quel poco di esperienza che ho mi sono reso conto che quando sei in sella ragioni in un modo, quando sei a piedi in un altro. Può capitare quindi che la mattina mio padre mi dica delle cose mentre io monto, e quelle stesse cose io le capisca veramente solo al pomeriggio mentre insegno: in questo senso le due attività si completano al meglio».
Quindi lei è istruttore federale?
«Sono Otb, ho fatto tutte le unità per arrivare al primo livello, adesso mi manca solo l’esame. Avrei dovuto darlo a settembre, ma poi gli impegni soprattutto agonistici me lo hanno impedito. Siccome è una cosa alla quale vorrei dedicarmi per bene perché ci tengo molto, allora voglio aspettare il momento migliore: probabilmente lo farò quest’anno prima che riprenda in pieno l’attività agonistica».
E a proposito di insegnamento: le piace lavorare sui cavalli giovani?
«Partendo dal presupposto che con i cavalli giovani bisogna stare sempre molto attenti, non ci si può fidare più di tanto e quindi un po’ di timore ce l’ho sempre quando ne monto uno… per il resto sì, mi piace molto. Mi piace molto creare un processo di crescita insieme a un cavallo. Credo che sia una delle cose che in assoluto dà più soddisfazione».
Ma il suo timore dipende dalla preoccupazione di poter rovinare o compromettere qualcosa nel processo di apprendimento del puledro?
«No no: mi preoccupo proprio di rimanere in sella, di non cadere! Diciamo che se posso evitare di domare i puledri… beh, lo evito volentieri!».
Al momento il piacere per l’attività agonistica prevale su quello del lavoro di preparazione e di insegnamento?
«Diciamo che la mia idea di futuro è quella di rimanere su questa strada, quella dell’insegnamento. Ma sono anche convinto che per poter arrivare a farlo bene sia necessario passare attraverso alcune tappe quasi obbligate. Io adesso sto portando avanti la strada dell’agonismo per poi in un prossimo futuro mettere a frutto l’esperienza come insegnante: anche perché da young rider posso forse riuscire a togliermi determinate soddisfazioni e fare delle cose che poi domani da seniores non so se sarò in grado, se avrò le capacità, se avrò i mezzi… ».
E quindi l’obiettivo per il 2014?
«Il mio obiettivo è quello di fare più gare internazionali possibile. Perché il confronto con gli altri, quelli bravi, è fondamentale per imparare. Se io e il mio primo cavallo Cortaldo riusciamo a continuare così… beh, spero di potermi ritagliare uno spazietto tra gli young rider. Ma gli young rider in Italia adesso sono veramente molto molto molto forti, non sarà facile. Ci proverò, e se non ce la farò pazienza… Il 2014 è il mio ultimo anno da young rider: alla fine della stagione tirerò le somme e vedremo».
Ha dei modelli di riferimento?
«Beh, a livello agonistico il primo che mi viene in mente è Scott Brash perché al di là dei risultati che sta avendo è veramente un ragazzo con tanto tanto feeling con il cavallo. Lui mette sempre al primo posto quello che il suo cavallo può dargli in quel preciso momento, i suoi bisogni e le sue reali possibilità. E io personalmente trovo che questa sia la strada migliore. Un altro modello è sicuramente un uomo di cavalli come Ludger Beerbaum: non solo ha vinto tutto quello che ha vinto, ma è stato anche capace di mettere in piedi una scuderia come la sua, con tanti cavalieri tutti di alto livello, alto livello di cavalli giovani, alto livello di professionalità e preparazione. Vedere che oggi i suoi ragazzi, i suoi allievi, quelli ai quali lui ha trasmesso buona parte della sua esperienza e delle sue conoscenze riescono a tenergli testa in gara, beh… credo che sia una cosa da far venire i brividi».
È bello questo che lei dice: dimostra una sua grande attenzione ai valori veri del nostro sport, e non a quelli effimeri…
«Io ho la grande fortuna di aver avuto vicino chi è stato in grado di farmi capire che il nostro prima di essere uno sport è una passione per il cavallo e per il mondo del cavallo. Che poi questa passione vada a incanalarsi nell’attività sportiva è solo un effetto successivo. Ma prima di tutto deve esserci la passione per il cavallo, il cavallo come animale, come essere vivente».
Quindi lei riesce ad avere ancora un rapporto emotivo e sentimentale con i cavalli che monta?
«È la cosa fondamentale. Io quando salgo in sella alla mattina lo faccio per andare alla ricerca di quel tipo di rapporto, è questo che mi spinge a fare quello che faccio, anche se è abbastanza normale che pian piano nasca un certo tipo di routine, quando si monta dalla mattina alla sera senza soste. Poi è ovvio che subentrano anche aspetti di carattere tecnico: il lavoro che si deve fare, l’obiettivo che ci si pone, il tipo di cavallo che si sta montando… Però si deve sempre tener presente il vero motivo per cui si fa quello che si sta facendo: e questo aiuta a mantenere il giusto rapporto con i cavalli».
Ecco, il tipo di cavallo: quale è il suo ideale, sportivamente parlando?
«Fortunatamente ho montato tanti cavalli e tanti tipi diversi di cavallo. Quello con il quale ho più affinità è comunque non eccessivamente caldo, un po’ come Cortaldo e Luxi: cavalli che possono sembrare addirittura pigri, ma che poi nel momento del bisogno se ne vengono fuori con tutta la loro genialità. Nel GP a Manerbio Cortaldo ha dimostrato proprio questo su un percorso così impegnativo nel migliore dei modi».
La gioia più grande della sua vita?
«Non lo so… Non saprei cosa dire… Forse quando ho vinto il Campionato d’Italia sapendo che poi avrei anche partecipato a quello d’Europa. Questo per quanto riguarda l’ambito sportivo, direi».
E invece la delusione?
«Forse non aver potuto partecipare al Campionato d’Europa junior nel 2010, anno in cui ho fatto buone prestazioni».
Ha altre passioni o interessi o hobby oltre ai cavalli?
«No, soprattutto per questioni di tempo. I cavalli e la scuderia mi assorbono tantissimo. E tutto il tempo che rimane libero cerco di trascorrerlo insieme a Benedetta: ci vediamo sempre meno di quanto vorremmo».
La carriera scolastica?
«Passiamo a un’altra domanda… ».
Va beh, anche perché ha trovato una dimensione professionale molto gratificante, no?
«Sì, certo, in questo momento poi sono molto preso dall’attività agonistica. Non ho comunque del tutto abbandonato l’idea di iscrivermi all’università, se mai un giorno riuscissi ad avere il tempo per studiare bene».
Poi dovrebbe avere un futuro abbastanza ben inquadrato, no? Con un centro ippico così ben avviato, con suo padre, una ottima struttura tecnica che la segue…
«Diciamo che quello che io sto facendo oggi è quello che spero possa darmi una buona esperienza per potermi affermare in futuro: non so se come cavaliere, spererei comunque come uomo di cavalli».
Redazione
Fonte: Federazione Italiana Sport Equestri – Fise Veneto