In questa dinamica epoca, in cui il motore occupa una parte importante, l’uomo nutre ancora per il cavallo, nobile e generoso animale che fin dai lontani oscuri giorni della preistoria lo ha accompagnato nel suo lungo cammino, un affetto profondo.
Quando, nel 1519, l’esigua schiera di Spagnoli capitanata da Ferdinando Cortes s’inoltrò fra le gole e i deserti del Messico, si vide fatta segno da parte degli indigeni a straordinarie manifestazioni di rispetto e di deferenza: gli Aztechi veneravano nei pallidi guerrieri venuti dal Levante i compagni di Queztalcoatl, il dio fondatore della stirpe, signore del tuono e della folgore, dal torso d’uomo e dal corpo belluino.
Non avevano mai visto un cavallo, quegli ingenui sudditi di Montezuma, e credevano che gli Spagnoli fossero tutt’uno coi loro animali, come giganteschi centauri.
In America, infatti, fino all’arrivo degli europei, il cavallo era del tutto sconosciuto: e ciò appare piuttosto strano a noi, che siamo abituati da millenni a considerarlo come il compagno indivisibile dell’uomo in tutte le sue imprese di guerra e di conquista.
In Europa e in Asia esso compare fin dalla più remota preistoria; senza risalire all’età paleolitica (sulla parete di una grotta della Dordogna è dipinto un bellissimo cavallo in corsa, che risale a forse 50.000 anni fa), basta pensare alle civiltà degli Arii in India, dei Cinesi e dei Giapponesi in Estremo Oriente, degli Assiri e degli Ittiti nel Mediterraneo, per vedere, protagonista di ogni fatto storico, l’uomo a cavallo.
Greci e Romani avevano per i cavalli, per le corse dei cocchi, per l’equitazione, una passione che rasentava il fanatismo: Caligola, il folle imperatore, arrivò a creare senatore il suo cavallo Incitatus, e a fargli costruire una scuderia di marmo e d’argento.
Una carica del Savoia cavalleria. Scene come questa, che un tempo rappresentavano il momento culminante di ogni battaglia, sono oggi soltanto un ricordo. Lanciate intorno alle gambe dell’emù (struzzo americano) in corsa, le “bolas” (quelle grosse palle di legno che vedete in capo ai lacci) lo immobilizzano.
Dalle gradinate del Circo Massimo le grida frenetiche di 200.000 spettatori accompagnavano il galoppo delle quadrighe; spesso, fra i sostenitori delle due parti avverse, scoppiavano zuffe sanguinose.
Crollò anche l’impero romano, con la sua decadente e raffinatissima civiltà forse una delle poche cose che sopravvissero a tanto sfacelo fu l’arte equestre, che si venne sempre più affermando come privilegio della nobiltà.
Le pianure di Maremma e di Normandia fornivano ai cavalieri medioevali i massicci stalloni da guerra, capaci di sopportare il peso delle grevi armature: e si può dire che, dal XII fino al XVII secolo, fino a quando, cioè, gl’Inglesi cominciarono ad incrociare i loro cavalli con quelli arabi, gli allenamenti, i metodi, e i mercati italiani dominarono il mondo ippico d’Europa.
Una cavalcata nella brughiera, sulle tracce della volpe. La caccia a cavallo è sempre stata, fin dall’antichità, lo svago prediletto della nobiltà. In un nembo di polvere, una colonna di Beduini galoppa nel deserto. Gli Arabi selezionano da secoli cavalli di razza pregiata, tenendo nota precisa delle genealogie.
Oggi esistono decine di razze equine, spesso assai diverse l’una dall’altra, adatte ai più svariati compiti. Così l’Hackney, inglese, un bel animale dalle forme robuste, che si presta sia al tiro leggero che alla sella; il Pony, piccolo e tozzo la cavalcatura prediletta dai bambini; il cavallo da polo, simile al precedente, allevato appositamente per questo gioco; lo Shire, un mastodontico cavallo da tiro, dalle zampe larghe e pelose, pesante fino a 10 quintali.
In Oriente dominano il cavallo Arabo e il Berbero; piuttosto piccolo il primo, grigio pomellato, resistente e velocissimo; più robusto, di mantello rosso o roano, il secondo.
Da incroci fra cavalli arabi e inglesi è nato, come si è detto, quel magnifico campione di velocità e di resistenza che è il purosangue inglese, dominatore degli ippodromi.
Nella prateria già immersa nelle tenebre, il gaucho si appresta al bivacco notturno: questi uomini della pampa argentina hanno per il loro cavallo un affetto fraterno. La “doma” di cui qui vediamo una scena, è uno spettacolo di origine americana: in un recinto, i cow boys si cimentano con cavalli selvaggi, tentando di domarli e di mettere loro sella e morso.
Ottime razze sono pure la Normanna, adatta al tiro pesante, e l’Andalusa, indigena della Spagna, che produce cavalli vivaci e di bell’aspetto.
In Italia abbiamo l’eccellente cavallo Sardo (o meglio, Arabo-Sardo, perchè ottenuto originariamente da incroci con Arabi), il Maremmano, che costituiva il nerbo della nostra cavalleria, il Lipizzano, uno splendido cavallo di parata che si alleva nell’Istria, dal pelame bianchissimo.
Da più di un secolo sono stati importati alcuni esemplari di purosangue inglesi da corsa; oggi gli allevamenti italiani di galoppatori sono tra i primi al mondo (gli sportivi ricordano ancora il grande Nearco, il puledro italiano che passò come un trionfatore sugli ippodromi d’Europa; fu venduto ad allevatore inglese per una somma pari a quattrocento milioni di lire).
Nelle corse al trotto dominano invece, incontrastati, gli allevatori americani; anche i trottatori europei sono tutti originari d’oltre Atlantico.
L’elettrizzante arrivo di una corsa al galoppo: i purosangue sono animali delicatissimi, che esigono cure e accorgimenti d’ogni genere prima e dopo la corsa. I magnifici cavalli che vediamo trottare a tempo di musica, nell’arena del circo, appartengono a razze speciali e pregiate. Molto usata è la razza lipizzana.
L’equitazione, che in Italia è stata rivoluzionata dal capitano Caprilli, ha raggiunto forse il suo massimo livello tecnico; è difficile pensare che i cavalieri futuri riescano a trovare qualcosa di nuovo in un’arte che viene praticata da migliaia d’anni.
L’allevamento, invece, attende dalla scienza nuovi impulsi; effettivamente, oggi otteniamo cavalli migliori di quelli che si avevano solo cent’anni fa, tant’è vero che i records sul miglio si abbassano di anno in anno.
Il purosangue che vediamo sfilare davanti alle trincee prima della corsa, fremente di vita sotto il serico mantello baio o sauro, è il frutto di lunghi studi, di sapienti accorgimenti: per accrescerne le doti di resistenza e di velocità, per adattarlo al terreno elastico o pesante, per imprimergli lo spunto veloce ai nastri o sul tragurdo, allevatore e trainer hanno dovuto spiegare tutta la loro esperienza e la loro sagacia. E quando il puledro rientra al peso, madido di sudore e con gli occhi inniettati di sangue, dopo la vittoriosa galoppata sulla pista erbosa, gli uomini che l’hanno curato e allenato lo accarezzano con gli occhi umidi dalla commozione: e in quel gesto è tutto l’amore dell’uomo verso il nobile animale che dai lontani, oscuri giorni della preistoria lo ha accompagnato nel suo lungo cammino.
Fonte: Testi e disegni tratti da:
Enciclopedia VITA MERAVIGLIOSA
Edizioni M. Confalonieri