Il Barone Albert Moyersoen, sicuramente il più grande uomo di cavalli che l´Italia abbia a disposizione, è Socio Fondatore e Socio Onorario del Gruppo Italiano Attacchi. Riportiamo ampi stralci dell’intervista pubblicata sul N°3-2013 del NOTIZIARIO.
Ci racconti di come è iniziata la sua passione per i cavalli….
Ho passato tutta la vita con i cavalli, il primo fu il cavallo a dondolo che mio padre mi regalò per il mio primo compleanno, ricordo che mia madre diceva che non volevo più scendere da lì. Mio padre comprò uno dei cavallini di una giostra ormai ferma, che fu portato dal falegname e montato su una bascula. Ora è qui nel mio Museo!
Già a 8 anni avevo cominciato a guidare la carrozza ed attaccavo le capre, perché le capre venivano utilizzate per abituare i bambini alla guida nei giardini e nei parchi.
Dopo lo sbarco in Normandia mi arruolai volontario nella VIII Armata Britannica Piron: ero il secondo autista di un autoblindo, ma non tutto era motorizzato … di cavalli in guerra ce n’erano e molti.
A questo proposito ricordo che gli inglesi si chiedevano perché ci fossero pony in dotazione proprio nella zona dello sbarco: erano invece i cavalli dei Cosacchi del Don arrivati dalla Russia.
Ricordo che spesso, chiedendo ai contadini, riuscivo a montare e passeggiare a cavallo: io non fumavo e scambiavo le mie razioni di sigarette con cavalli in prestito per qualche ora.
Finita la guerra, feci domanda per entrare nell’Esercito Francese, era difficile per uno straniero entrare, ma venni accettato alla scuola Ufficiali del Reparto Stalloni Governativi.
Frequentai l’Accademia Militare ad Haras du Pinper due anni, dal 1950 al 51, e lì imparai ed insegnai la guida inglese per il Tiro a 4. Proprio nel ’51, come Ufficiale di cavalleria dell’Esercito Francese, vinsi il Completo di Equitazione a Saumur.
Poi venni in Italia, mi sposai e organizzai un maneggio ed un’azienda agricola. Successivamente andai per un periodo in Portogallo da Nuño Oliveira, numero uno nell’equitazione e rimasi là un anno: stare da lui fu una scuola straordinaria.
[…] Da lui la carrozza era sempre pronta per i trasferimenti anche su lunghe distanze, se non c’era necessità del taxi, si andava in carrozza ed io la conducevo.
Come le venne l’idea di strutturare il suo Museo?
Nessuno crede che i cavalli abbiano avuto un grande ruolo nella II Guerra Mondiale, pensano che tutto fosse motorizzato, ma i cavalli impegnati durante il Conflitto Mondiale furono 10 milioni, provenienti da 19 paesi.
L’idea del Museo nacque per raccogliere e mostrare, esposte su modelli di cavalli a grandezza naturale, tutte le bardature utilizzate allora dai vari eserciti. L’idea mi venne quando stavo in Portogallo: proprio in quel periodo l’esercito fu motorizzato ed, allora, tutte le bardature utilizzate dai reggimenti a cavallo venivano scartate.
Si trattava della selleria di almeno mille cavalli, ne comprai un buon numero e in seguito scambiai le bardature portoghesi con bardature militari di altri paesi, in modo da poterne esporre varie fogge in quello che sarebbe diventato il mio Museo.
Cercai i sellai che le avevano prodotti per la necessaria documentazione. Conoscendo sei lingue potei colloquiare e con questi vecchi sellai collezionisti e riuscii a portare a termine il mio progetto.
E i suoi rapporti con il GIA…
Già nel lontano ’56 con un gruppo di amici mi divertivo ad attaccare, a fare sfilate: eravamo in 8-9. Ricordo Buschetti, Osvaldo Rivolta, la moglie ed il nipote che in sfilata portavano i loro 3 attacchi e la Marchesa Crivella.Prima ancora, nel ’53, a Melegnano avevo già sfilato con 4 cavalli.
Nel 1973 Egidio Quarenghi, che mi aveva visto in una sfilata a Salice Terme, venne da me e mi chiese dei contatti per organizzare la prima famosa sfilata a San Pellegrino: io accettai ed organizzammo una sfilata con circa 36 attacchi.
Mi ricordo in quella occasione fuori dal Grand Hotel c’era un ragazzo biondo con un cavallo grigio e mi chiese come poteva partecipare alla sfilata, ma il suo cavallo aveva i garretti gialli, non bianchi ed io ero davvero esigente: gli feci utilizzare della cenere per scurirli e per poter entrare in sfilata. Era per lui la prima volta, poi divenne mio allievo: parlo di Pasquale Beretta.
Fra i nomi di spicco del gruppo di Bergamo c’era Cinquini, che, non essendo riuscito ad entrare nel Gruppo Romano Attacchi, aveva in progetto di fondare una nuova associazione. Il GIA non esisteva ancora e, appunto, venne fondato a San Pellegrino l’anno seguente.
Quale ruolo ha ricoperto nel Gruppo Italiano Attacchi?
Dopo il 1974 il GIA chiese di entrare in FISE per occuparsi del settore Attacchi; mi telefonò l’allora Presidente della Fise Lombardia, Massimo Gotta, che mi conosceva perché Ufficiale di Cavalleria: era stato incaricato dal Presidente Buschetti di parlarmi della richiesta.
La FISE accettò di affidare le deleghe sugli attacchi al GIA alla condizione che io Albert Moyersoen ne fossi il Direttore Tecnico. Ed io in quel ruolo ero esigente: molti dicevano che non ero mai contento, quando dovevo insegnare a guidare il Tiro a 4 io richiedevo la guida inglese ad una mano.
Era il periodo in cui molti preferivano la guida a 2 mani secondo il metodo Achenbach che era stata adottata già nel ’14 dall’esercito tedesco. Io esigevo l’utilizzo del metodo Howlett, perché, allora,era obbligatorio per fare le gare in Inghilterra, ma era molto difficile convincere i miei allievi ad applicarsi,[…].
Cosa ricorda delle prime gare agonistiche?
Quando ero tecnico per il GIA seguivo Mascheroni, Pasotti, Dorino Carminati ed altri e li iscrissi per la prima volta a gare internazionali, io svolgevo la funzione di Chef d’Equipe. Il mio primo allievo fu Carlo Mascheroni, che fu anche il primo che iscrissi ad un concorso all’estero, a Laxemburg in Austria.
Ricordo con soddisfazione che Mascheroni, successivamente, vinse a Sandringham (1°Campionato del Mondo di Pariglie) la gara di Presentazione, addirittura davanti al Principe Filippo.[…]
Molti guidatori italiani di ieri e di oggi si sono rivolti a lei per imparare….
Annuisce e ci fa alcuni nomi, non lesinando di raccontare brevi aneddoti, di esprimere critiche bonarie ed elogi e mostrandoci foto di quasi tutti
Ricordo Antonio Broglia con la sua cavalla Nora, che era stata qui da me, Ferdinando Bussolera, che poteva acquistare alle aste in Spagna bellissimi stalloni, grazie alle sue conoscenze e Angelo, il suo uomo di scuderia.
Poi Gianbattista Foco e Franco Di Chiara e la loro passione per gli Hackney, che condivisi fondando l’Hackney Club nel 1981, con ben 17 membri. Come tralasciare Carlo Mascheroni, che vinse a Sandrigham e Cesare Martignoni, davvero un esperto di guida all’inglese.
Lui vinse ben 2 volte in Inghilterra nelle gare di Park Drag, seguendo i miei consigli di strenui allenamenti al passo, per evitare intoppi alla partenza sui molli e umidi prati inglesi con 1600 Kg di peso al traino. Pasquale Beretta che procurò i cavalli per il mio Museo.
Ed ancora Angelo Bianchi e Cristiano Cividini, con un cavallo che avevo già conosciuto, Pluto, che veniva regolarmente tutte le Domeniche anche con il fratello: voleva imparare e fare gare e anche lui è riuscito a vincere il bronzo ai Campionati del Mondo.
E, per finire, Lucio Battisti e Mogol ed il loro viaggio a cavallo fino a Roma. […]
Emanuela Brumana
Fonte: Notiziario 3-2013