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9 Marzo 2025

8 marzo – excursus “Donne diritti e stereotipi”

PASSI0NE CAITPR. Ecco il nostro contributo – come Associazione –  per la giornata internazionale della donna.

Le calende di marzo: donne, diritti e stereotipi

Nel celebrare la Giornata internazionale della Donna, vi proponiamo un excursus storico su una festività solo apparentemente recente. Risalendo alle sue origini più antiche, cercheremo di fornire qualche spunto di riflessione sulle questioni “di genere”, non mancando di accennare ai legami tra femminismo e questione animale.
La cosiddetta “festa della donna” si celebra, com’è noto, in ricordo del rogo dello stabilimento in cui duecento operaie in sciopero rimasero intrappolate e arse vive a inizi Novecento.
Ma forse non tutti sanno che, senza nulla togliere alla Giornata internazionale della Donna, l’aggancio al preciso fatto storico sarebbe una “favola”, addirittura secondo alcuni sarebbe una “bufala”.
Le calende di marzo: Donne, diritti e stereotipi

Ma è importante il “vero storico”?

Non c’è da stupirsi se spesso le celebrazioni sono andate legandosi a un fatto in modo approssimativo, incerto, o “postumo”. Può accadere che i fatti storici vengano modificati proprio in nome della loro celebrazione, secondo un procedimento di mitizzazione facilmente comprensibile e assolutamente umano.
È corretto anche il “non voler sapere”, il decidere di ignorare che si tratti di un falso aggancio, di un piccolo aggiustamento atto ad aumentare l’importanza della festa: rientra un po’ nel patto narrativo tra fruitori e fautori della festività, tra motivi ideologici e motivi festosamente popolari.
Vi segnalo qui solo due belle fonti divulgative sulla storia della Giornata internazionale della Donna, pur essendo ricchissima la letteratura sull’argomento: lo scritto di Erica Rampini, e quello di Antonella Bazzoli.

La festa delle donne esiste dal quarto secolo a.C.!

Ciò che invece mi piacerebbe qui mettere in evidenza è che – guarda caso – la celebrazione della Giornata Internazionale della Donna va a stratificarsi su una festività esistente sin dai tempi dei popoli italici e dell’antica Roma: i Matronalia (Ov. fast. 3, 245-258).
Matronalia venivano chiamate le celebrazioni religiose che si tenevano alle Calende di marzo (anche dette “femineae kalendae”), cioè il primo Marzo.
Si tenevano in onore di Giunone, dea che le matronae veneravano come fonte di vita e di luce, e che per questo riceveva l’appellativo di Lucina, dal latino lux, luce, riferito anche alla protezione di Giunone sulle partorienti nel momento in cui davano alla luce i figli.
È Plinio a riferire dell’esistenza di un templio sull’Esquilino dedicato a Giunone Lucina, sin dal 375 a.C.Il culto della dea nei Matronalia acquistò nel tempo caratteri più decisamente legati al Genio della donna, al mondo femminile in tutte le sue manifestazioni e al culto mediterraneo della Grande Madre.

Capelli e nodi sciolti per entrare al tempio

In occasione dei Matronalia, le romane si recavano al tempio di Giunone in processione, con i capelli sciolti, per offrire fiori e incenso e invocare la sua protezione per il parto.
Adorne di una ghirlanda di fiori, facevano voti per la gloria dei mariti, che a loro volta portavano doni a mogli e madri.
Sciogliere i capelli era un gesto simbolico che assumeva un valore magico e propiziatorio,
volto ad assicurare l’esito favorevole del parto, sia per la madre che per il neonato.
Il “nodo” significava infatti un impedimento, e a questo era legata l’antica consuetudine che vietava alle donne di entrare nel tempio di Giunone Lucina con qualcosa di annodato addosso.
Non a caso parleremo in seguito dell’attività preferita del sortilegio e della fascinazione: “fare i nodi”. E dell’arte ad essa contraria, lo “scioglimento dei nodi”, nella cultura religiosa di ogni tempo.

Perché le Calende di Marzo?

Le Calende erano il primo giorno del mese.  Ma quelle di marzo corrispondevano anche all’inizio del nuovo anno, cioè erano il Capodanno romano, e all’inizio della primavera.
Dunque il 1° Marzo era: il primo giorno del mese, il primo giorno dell’anno, e l’inizio ufficiale della bella stagione, dopo numerose anticipazioni.
Agli alberi tornano le foglie distaccate dal freddo e le gemme si gonfiano di linfa sul tenero tralcio … con ragione le madri latine per cui è voto e milizia il parto, onorano questa stagione feconda” dice Ovidio.

Marzo, mese di Marte, si piega a Giunone

Il nome “Marzo” viene da Martius, a sua volta derivato da Mars, il dio Marte, identificato con il greco Ares, e dunque considerato figlio di Giunone.
A Marte era intitolato l’intero mese, in quanto divinità dedicata non solo alla guerra, ma anche ai raccolti primaverili, alla pioggia e alla fertilità.
Gli antichi faticarono non poco ad accettare che all’interno del mondo virile del mese di marzo fossero collocati i Matronalia. È sempre Ovidio che ce lo racconta: “Dimmi perché ti festeggiano le matrone, mentre tu sei connesso alle attività virili?” (Fasti, III, 169).

I diritti delle donne

Nel 195 a.C., le donne romane scesero in piazza, bloccando le vie e paralizzando la città, per chiedere l’abrogazione di una legge Oppia del 215 a.C.
La Lex Oppia, proposta in un momento di forte crisi politica e finanziaria della Repubblica, limitava la libertà delle donne con una serie di misure che vietavano di indossare gioielli di più di mezza oncia d’oro, di usare abiti dai colori sgargianti e di muoversi in carrozza.
Per l’occasione Catone il Vecchio definì le donne in protesta come “creature selvagge”, ma alla fine l’insurrezione delle matrone riuscì a far abrogare la legge.
Più tardi, intorno al 40 d.C., la donna romana raggiunse una certa considerazione: pur rimanendo esclusa dalla vita politica, poteva infatti possedere patrimoni e amministrarli, assumere obblighi ed esercitare professioni tradizionalmente legate alla sfera maschile, come l’avvocatura.

La questione di genere esiste da quando esiste l’umanità

La gravidanza e l’accudimento dei figli, attività delegate in antico alla sola madre, hanno sempre richiesto dei periodi di allontanamento dalla vita pubblica e dall’attività lavorativa.
Inutile sottolineare quanto questo abbia pesato in termini di autorealizzazione delle donne al di fuori delle mura domestiche.
In antico le conquiste delle donne furono progressive e numerose, e il ruolo ricoperto dalle figure femminili aveva rilevanza e dignità, è vero: ma di qui a dire che la donna aveva un rispetto superiore a quello odierno ce ne passa.
La tendenza attuale di certa web-literature è un po’ quella dei laudatores temporis acti, coloro che tentano di considerare gli antichi superiori ai moderni.
È vero che Dante, Petrarca e Boccaccio e tutti gli antichi letterati conferivano alle donne un posto di rilievo nell’esistenza umana, e dall’età cortese in poi la donna fu l’elemento che portava l’uomo ad essere una persona migliore, più nobile, più “gentile”.
Ma il fine era sempre il miglioramento dell’uomo.

Gli stereotipi del femminile

Donna deriva da “madonna”, mea domina, mia padrona, padrona del cuore e dell’anima: ma il resto del mondo spettava all’uomo.
La domina non dominava nulla, ma consentiva a mariti e figli, con la sua silenziosa presenza e i suoi preziosi servigi, di raggiungere le posizioni più alte in società.
Pare sia stata una donna a dire che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”: e in effetti proprio questo era il suo ruolo, questo il massimo riconoscimento sociale.
Nel mondo antico, la considerazione delle donne “libere”, confermata in pieno dalle recentissime scoperte nella casa del Tiaso a Pompei, era legata al “selvaggio” e al dionisiaco.

Baccante o Venere?

Non c’erano vie di mezzo, nell’immaginario antico: la baccante di Euripide (405 sec. a.C.)  era metafora di una vita sfrenata, e mirava a qualcosa di diverso, di grande e di visibile, come dice il coro nel testo di Euripide.
Era “la donna che abbandona i figli, la casa e la città, che esce dall’ordine maschile, per danzare libera, andare a caccia e mangiare carne cruda nelle montagne e nei boschi.” (ibidem)
All’opposto, c’era la donna che emula Venere, dea dell’amore e delle nozze, la donna che si guarda nello specchio, che vuole essere “bella”, perché il suo più grande desiderio era compiacere e piacere.
È proprio Pompei che ci mostra questi due opposti: il fregio della casa del Tiaso e quello dei Misteri “mostrano la donna come sospesa, come oscillante tra questi due estremi, due modalità dell’essere femminile“.
Ma potremmo citare altri esempi, come ben sanno i miei studenti: Amarillide e Galatea in Virgilio, la mora e la bionda, la donna da sposare e quella libera con cui divertirsi.
Ancora oggi queste due gabbie intrappolano il “femminino”: Venere o Baccante? fata o strega? Biancaneve o Grimilde? Rossella o Melania?
Questo bisogno grossolano di etichettare, che appartiene non solo al mondo maschile, ma anche a certo mondo femminile che si ritiene unico detentore della verità di genere, dimostra quanta fragilità e quanta paura serpeggi ancora su questo campo minato.

Ieri

Gli antichi furono giganti.

E quei giganti ci permettono di salire sulle loro spalle, di arrampicarci e di guardare un pochino più avanti, rispetto a loro. E dobbiamo credere che le questioni di genere aiutino l’umanità a superare le sopraffazioni, le infibulazioni, le spose bambine, lo sfruttamento, la schiavitù ancora dominante in tante parte del mondo. E (più o meno) strisciante in Occidente.

Oggi

Il grande pericolo odierno è la banalità dei social, la cancel culture, l’analisi approssimativa, la dispersione delle argomentazioni, che finisce per portare il dibattito su questioni di lana caprina, come il bacio non consenziente di Biancaneve.
Tutta fuffa che non aiuta, tutta fuffa che porta solo alle polemiche degli opinionisti.

Domani

La gerarchia aristotelica degli esseri sosteneva (per riassumere in modo sbrigativo) che nel mondo “lo schiavo esistesse per il padrone, la femmina per il maschio e l’animale per l’uomo” (Aristotele, cit. in Linnemann 2000).
Questa posizione assiomatica e normativa resta incredibilmente attuale in molti contesti.
Non a caso Maneesha Deckha nel suo contributo su D.E.P. “Femminismo e questione animale”, dal titolo Animal Advocacy, Feminism and Intersectionality, a cui vi rimandiamo caldamente, espone le ragioni per cui la “questione animale” dovrebbe essere inserita a pieno titolo nella riflessione e nel movimento femminista, alla luce del concetto di intersezionalità.
Ecco perché siamo qui a parlarne.
Purtroppo non si può ancora dire che dietro a una grande donna, oggi, ci sia un grande uomo.
Dietro una grande donna c’è una grande forza.
E molto spesso un grande amore per gli animali.

Luisa Nardecchia

<<Centro Studi per la Biodiversità dell’Associazione PASSIONECAITPR>>

Ufficio Stampa PASSIONECAITPR

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