Per chi non ne fosse al corrente, si tratta di alberghi con le stanze degli ospiti non concentrate in un unico stabile, che offrono i medesimi servizi di un hotel tradizionale.
Una forma alternativa di accoglienza, ma con modalità un poco diverse. Una impresa alberghiera formata da più unità abitative, con gestione unitaria, nello stesso centro abitato, offerta in forma imprenditoriale per fornire i servizi standard, con Reception, spazi comuni di trattenimento, punti di ristoro etc. Integrata nella cultura del territorio.
Su progetto dell’Architetto Carlo Toson, da una idea di Leonardo Zanier, è nato in Carnia a seguito del terremoto del 1976, per utilizzare le abitazioni man mano che venivano restaurate e rese disponibili.
Gli alberghi diffusi stanno prendendo piede in alcune regione italiane, per utilizzare aspetti favorevoli nelle varie piccole città in cui la condizioni di riduzione degli abitanti hanno prodotto un numero sempre maggiore di case inutilizzate e disponibili ad una attività di ricezione alberghiera di questo tipo.
Normati in modo abbastanza unitario stanno divenendo un business interessante.
Il perché è presto detto. Sugli oltre 8000 comuni del nostro Paese, molti si stanno spopolando per tutta una serie di motivi, sociali, antropologici, culturali e di aspettative delle nuove generazioni.
Cito un motivo fra i tanti. I nostri nonni e padri, contadini, dopo una vita di sacrificio, spesa sui campi, per far studiare i propri figli affinché non li seguissero nella loro faticosa e difficile esistenza, dopo il loro diploma o la laurea, li hanno visti allontanarsi.
Cercare opportunità, lavoro, compagnie e distrazioni nelle città metropolitane più o meno vicine, quando non addirittura all’estero. E, dopo la loro dipartita, molte sono le abitazioni rimaste vuote ed inutilizzate. In numerosi paesi.
Questa diaspora li ha spopolati, compreso l’abbandono dei campi una volta produttivi, gli esercizi di prossimità ormai senza più clienti e le istituzioni di servizio, chiuse per lo stesso motivo.
E’ un po’ la stessa causa della nascita degli Agriturismo, che – da aziende un tempo vocate solamente alla produzione di cereali, legumi, verdure, viti e allevamento – si sono ricondizionate in imprese di ricettività alberghiera, conservando, in parte, alcune produzioni alimentari meno impegnative e comunque attrattive.
Divenuti vecchi coloro che le crearono e coltivarono faticosamente per una vita, molti dei loro eredi (o volenterosi di sfruttare quelle opportunità) vi hanno abbinato una offerta alberghiera, limitata nel numero degli alloggi e con la condizione di vendere prodotti ancora generati dalle stesse aziende.
Avevo ipotizzato una forma di ripopolamento di quelle cittadine, da parte di immigrati che avessero le stesse attitudini professionali, che avrebbero potuto rivitalizzare campi, esercizi, ridando lavoro, opportunità a tanti che fuggivano dal loro Paese per rifarsi una vita.
Restaurare quelle case ormai vuote sarebbe costato meno di ogni altra forma di ospitalità e ghettizzazione cittadina. Le istituzioni sarebbero tornate con i loro indispensabili servizi di trasporto, postale, scolastico, sanitario ed altro ancora.
Ma invano.
Nessuno ha raccolto questa possibilità. La nascita degli alberghi diffusi in tali realtà sta rivitalizzando e ripopolando le presenze e le attività locali, soprattutto con motivazioni turistiche.
Il turismo, infatti, cresce regolarmente in Italia, anche se meno di quanto potrebbe e sarebbe auspicabile, date le innumerevoli bellezze naturali, storiche culturali di cui siamo i primi depositari al mondo. Le case che accolgono turisti ci sono sempre state, ma, in genere, sono i proprietari che le affittano direttamente (o le tengono per se come seconde case).
Quando un Paese dispone di molte abitazioni libere, vuote, inutilizzate (e su cui si pagano le tasse) è venuto spontaneo pensare a realizzarvi un albergo diffuso. Specialmente se ci sono ancora vitalità, bellezze naturali e culturali in loco, da sfruttare turisticamente, offrendo – all’estero – anche l’accoglienza amichevole tipicamente italiana.
Operando imprenditorialmente, reclamizzando, prevalentemente via internet, servizi alberghieri e opportunità di visitare le eccellenze del territorio.
Si dice che “l’albergo diffuso” sia una “invenzione” tutta italiana.
Si sa che nel nostro Paese vale quel precetto cinese, nella cui lingua la parola ”crisi” è composta di due caratteri, uno rappresenta ”il pericolo” e l’altro “l’opportunità”.
Oppure, come sosteneva Galileo Galilei “dietro ogni problema c’è una opportunità”. Nelle crisi diamo il meglio di noi.
Sarebbe sufficiente guardare al dopo scandalo del vino al metanolo, nel quale la nostra produzione vinicola aveva raggiunto un minimo storico e nazioni meno ricche di vigneti compravano i nostri vini a peso, solamente per aumentare la gradazione alcolica dei loro prodotti enologici.
E, dopo una vera rivoluzione nel settore, attualmente, siamo diventati fra i primi produttori al mondo di vini di qualità, battendo anche nazioni che hanno vantato questa posizione di prestigio per secoli!
I suddetti Paesi sarebbero i primi a generare questa forma di ricettività alberghiera particolare, ma esistono anche altre realtà che potrebbero avvantaggiarsene.
Vi racconto un aneddoto.
Ho avuto modo, per vari motivi, cinque o sei anni or sono, di frequentare spesso il quartiere di Malafede, a circa 20 minuti dal centro di Roma. E’ un grosso rione, situato fra la via Cristoforo Colombo e la Via Ostiense, definito il “Giardino di Roma”, costruito dal Gruppo Caltagirone, per il quale la mia impresa aveva fatto diversi lavori anni prima.
Passeggiavo spesso per quelle strade tranquille, piene di verde di un sobborgo, che viene definito quartiere “dormitorio”, non in senso dispregiativo, ma solo perché – oltre a bar ristoranti, tavole calde, pasticcerie e gelaterie – sono presenti pochissimi esercizi commerciali, e servizi istituzionali.
Un po’ come le case romane nelle “insule” che servivano ai Quiriti quasi esclusivamente per dormirvi.
Avevo notato che ai piedi di ognuno dei numerosi grandi fabbricati a più piani, erano presenti decine di locali adibiti a negozio, ma che questi risultavano sempre chiusi, in vendita o in affitto. Quelle centinaia di serrande desolatamente abbassate mi sembravano il trionfo della inattività, un abbandono commercialmente triste, uno spreco di capitale.
Dovevano aver creduto che ci si sarebbero trasferiti esercizi di ogni genere.
Avrebbero potuto usufruire di una popolazione locale numericamente e mercantilmente valida. Maggiore di quella ch’è vi si è poi stabilita. E quindi quei centinaia di locali erano destinati inesorabilmente a rimanere inattivi. Senza possibilità di utilizzo.
A meno di trasformare quei negozi (dotati di servizi igienici) in “stanze da letto” di un albergo diffuso.
Senza grossi problemi strutturali. Arredati adeguatamente e collegati ad una unità principale, che potrebbe trovare facilmente nel quartiere, un fabbricato ad hoc per una collocazione centralizzata della ricezione, della cassa, dell’organizzazione di collegamento telefonico con le camere, la pulizia, il lavaggio, le consegne e l’organizzazione dei servizi alberghieri. Per gli ampi spazi progettati, i parcheggi non sono assolutamente un problema. Si potrebbero coinvolgere i molti bar, ristoranti e tavole calde del quartiere che – con opportune convenzioni – potrebbero risolvere tutti i problemi di ristorazione degli ospiti.
Dalla colazione al pranzo ed alla cena.
Una città come Roma, a pochi minuti dal “Giardino di Roma” potrebbe turisticamente richiamare un interessante afflusso di ospiti.
Certo, per realizzarvi un albergo diffuso ci dovrebbe essere un cambiamento di destinazione d’uso di quei locali nati come negozi, ma sono convinto che gli importi coinvolti, la possibilità delle autorità di incassare tasse da attività imprenditoriali, le opportunità di lavoro nel settore alberghiero che ne conseguirebbero e il richiamarvi molti clienti per facilitare l’insediarsi di esercizi commerciali di vari settori, attirati dal passaggio di turisti, potrebbero facilitare questa opportunità. Sempre che in questi sei anni da cui manco, qualcuno non ci abbia già pensato!
Da uomo di esperienza sostiene che la vita propone avventure che superano la fantasia. Autore di numerose pubblicazioni tra cui Il libro "Equus Caballus, Ippo per gli amici (principianti)" edito da Bastogi Libri