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20 Marzo 2023

Gonzalo Giner, medico veterinario e scrittore: una vita parallela

Il volto della professione

Gonzalo Giner appartiene a due dimensioni solo apparentemente antitetiche: è sia medico veterinario che scrittore affermato. Esercita da anni la professione con passione e dedizione, mentre contemporaneamente si dedica all’ideazione e alla stesura di romanzi storici dettagliati e coinvolgenti, che hanno incontrato un grande successo di pubblico, in Spagna e non solo. Il suo segreto? Combinare le conoscenze in materia di medicina veterinaria e la sua conoscenza storiografica, per dare vita a racconti vividi e appassionanti che pongono al centro della narrazione a sfondo storico anche i rapporti uomo-animale nel corso dei secoli e dei contesti culturali diversi. In occasione dell’uscita nelle librerie italiane il prossimo 25 ottobre dell’opera che gli ha dato la fama, “Il guaritore di cavalli”, pubblicato dalla casa editrice SEM, proponiamo un’intervista che approfondisce a tutto tondo questa eclettica personalità, felicemente sospesa tra il mondo della medicina veterinaria e quello della letteratura.

Il fascino per gli animali, e in special modo per i cavalli, traspare da tutta la tua produzione letteraria, ed è al centro delle vicissitudini raccontate ne “Il Guaritore di Cavalli”, che arriva in libreria finalmente anche in Italia. Come nasce la passione per gli animali e per gli equini e quanto ha inciso nella scelta di intraprendere la professione di medico veterinario?

La mía passione per il mondo animale è iniziata quando ero bambino. Ma è stato all’età di quattordici anni che ho capito che la mia vita sarebbe stata in mezzo a loro grazie a un romanzo: “Tutte le creature grandi e piccole” del veterinario inglese James Herriot. Quando ho chiuso l’ultima pagina di quel libro, ho deciso di diventare veterinario. 
La centralità dei cavalli ne “Il Guaritore di Cavalli” è determinato dal periodo; in pieno Medioevo, la professione veterinaria lavorava quasi al cento per cento con i cavalli. Erano tutto: armi da guerra, da trasporto, per l’agricoltura, per la posta e soprattutto per il potere della nobiltà.

Tu sei, appunto, sia medico veterinario che affermato scrittore di romanzi storici di successo. Come si conciliano queste due dimensioni solo apparentemente antitetiche?

Queste sono le due passioni che riempiono la mia vita, ma non è sempre stato così. Ho iniziato a scrivere a 38 anni e il lato letterario della mia vita si è aggiunto alla mia prima e principale vocazione: lavorare con gli animali. Ora gestisco entrambe le attività dormendo poco. Scrivo nelle prime ore del mattino, tra le 4 e le 7, e poi vado a lavorare. Può sembrare una vita folle, ma non solo non ho problemi a farlo, ma sono anche felice. Lavoro come nutrizionista di ruminanti, un aspetto della medicina veterinaria che mi permette di programmare il mio lavoro e di non avere emergenze. Questo è l’unico modo per scrivere e promuovere ogni romanzo senza perdere troppo del mio lavoro da veterinario.

Tra le tue ultime pubblicazioni c’é anche “Entre Amigos”, un libro che ha riassunto con umorismo e onestà la tua esperienza di medico veterinario, a contatto diretto con tutte le situazioni che chi esercita la professione si trova ad affrontare quotidianamente. A tuo avviso, qual è la percezione generale del pubblico nei confronti dei medici veterinari e in quali condizioni sociali questi ultimi si trovano ad operare?

A mio parere, e mi limito a ciò che vedo in Spagna, la percezione della gente nei confronti della professione veterinaria è migliorata molto negli ultimi decenni, parallelamente alla crescente passione che il mondo animale risveglia nella popolazione. Ciò che manca, tuttavia, è la conoscenza dei diversi compiti che svolgiamo, al di fuori dell’ambito medico. Dobbiamo essere associati al controllo e all’igiene degli alimenti, alla difesa del benessere degli animali, alla produzione di alimenti sani o alla difesa dell’ambiente in cui siamo attivamente coinvolti. Le sfaccettature veterinarie sono molte, tante quante le condizioni sociali in cui si sviluppano. Lavorare sul campo con animali da produzione non è la stessa cosa che lavorare in una clinica per animali da compagnia. Ogni ambiente produce casistiche e problemi diversi, ma qui ci sarebbe da scrivere un libro intero. La professione sta cambiando molto.

Nei tuoi romanzi gli eventi vissuti dai protagonisti si svolgono spesso in un periodo storico che va dal basso medioevo all’inizio dell’età moderna, e hanno come ambientazione principale la penisola iberica tra dominazione araba e “Reconquista”. Quali erano i rapporti che le persone e le culture intrattenevano con animali ed ecosistemi in questa particolare congiuntura della storia?

La presenza musulmana in Spagna ha rappresentato otto secoli della nostra storia. La loro influenza è stata notevole in tutti i settori della vita, della cultura e della scienza. Grazie al sapere greco-latino che gli arabi raccolsero nelle loro biblioteche di Baghdad, del Cairo e di Cordova, insieme a quello dei loro grandi studiosi come Avicenna, Averroè, Maimonide e molti altri, tutto questo sapere fu tradotto in latino e dal latino nelle lingue europee, che si diffusero in Spagna e nel Nord Europa. La scienza medica umana e veterinaria si svilupparono di conseguenza in Europa. Inoltre, per l’Islam, il cavallo è un animale sacro e venerato dal Profeta. Maometto riteneva che solo con esso avrebbe potuto universalizzare la fede, e i responsabili della salute di questi animali svolgevano un ruolo fondamentale nelle loro società; erano chiamati “albeitar”. Il Guaritore di Cavalli” cattura questa atmosfera. Nel romanzo scopriamo cos’era un albéitar, come imparavano il loro mestiere, in quali condizioni lo svolgevano e l’importanza che questi professionisti avevano nei regni cristiani in guerra con Al-Andalus.  Il tutto con un tono di avventura emozionante.

Con l’esperienza che hai ad oggi, cosa diresti ad un giovane medico veterinario che si affaccia alla professione?

Innanzitutto, mi congratulerei con lui per aver abbracciato la professione più bella di tutte. Vi incoraggio a cercare un collega che funga da mentore, da insegnante. Sono consapevole dell’altissimo livello accademico delle scuole di veterinaria in Italia, come nel resto d’Europa. Gli studenti arrivano molto ben preparati dal punto di vista scientifico, ma hanno bisogno di stare con i piedi per terra, di essere reali, di commettere errori. E con un collega esperto è il modo migliore per ricevere le conoscenze pratiche che si tramandano da centinaia di anni tra colleghi.

Infine, vi consiglio di non smettere mai di studiare, di coltivare il vostro spirito di curiosità, di non criticare mai i vostri colleghi e di lottare per difendere la professione essendo i migliori in quello che fate. Non c’è bisogno che vi raccomandi di essere felici, perché tra gli animali sarete felici…   

In questo periodo così delicato in cui i motivi di divisione nella nostra professione sembrano essere sempre più complicati da superare, ci danno forza le tue parole al consiglio nazionale fnovi del 2016 a Bari “è necessario porsi degli obiettivi elevati, non sentirsi mancare di fronte all’avversità del mercato attuale, mantenere uno spirito di miglioramento continuo, contagiare positivamente il nostro lavoro e tutto quello che abbiamo intorno, essere proattivi, non solo reattivi, compromettersi”.

Credo che, al di là delle esigenze particolari di ciascuno di noi, abbiamo un dovere collettivo come professione che deve prevalere. Siamo eredi di un sapere antico, del lavoro di molti colleghi che lo hanno praticato fin dall’antichità con strumenti molto peggiori e con scarso accesso alla scienza. Questo non è il nostro caso. Non dobbiamo essere noi a spezzare questa catena di conoscenze, di sacrifici, di meritato prestigio. Quando ho condiviso la mia visione a Bari, volevo solo contagiarvi con la positività. Non potrebbe essere altrimenti: abbiamo un lavoro importante da svolgere per la società, siamo essenziali. La salute degli animali e delle persone dipende da noi. Quella “One health” di cui si cominciava a parlare, dopo la pandemia è diventata essenziale. Continuo a pensare che la professione abbia un’opportunità d’oro; dobbiamo sfruttarla, non distruggerla lungo la strada…

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