Tutte le caratteristiche che si manifestano in un individuo, come il colore del mantello, sono l’espressione di un patrimonio genetico ben definito che lo determina.
Per familiarizzare con i concetti di cui dobbiamo parlare, immaginiamo che il nucleo della cellula sia una città costruita intorno a un preciso numero di strade.
Queste strade hanno due bordi che sono speculari, e questi bordi, il lato destro di derivazione paterna e il lato sinistro di derivazione materna, sono i cromosomi.
Ogni cellula ha un numero fisso di strade, cioè di coppie di cromosomi, tipico della specie.
C’è solo una strada che ha due lati non speculari, ed è quella dei cromosomi sessuali, dove la specularità esiste nella femmina, ma un lato è molto più corto nel maschio (il cromosoma y).
Ogni lato della strada, il cromosoma, ha un numero stabilito di numeri civici, i geni.
Questi costituiscono le posizioni dove ci sono le case.
In ogni numero civico ci possono essere alcuni differenti tipi di case, gli alleli, che sono quindi le differenti tipologie di case a quel numero civico, cioè le differenti forme di un determinato gene.
Sulle differenti forme di ogni determinato gene si costruisce l’unicità di ogni individuo.
Quanti più geni uguali tra due individui ci sono, tanto maggiore è la consanguineità.
Sui due lati della strada, quello di origine materna e quello di origine paterna, ad ogni numero civico corrispondente ci possono essere due alleli uguali o diversi.
Se i due alleli, materno e paterno, sono uguali, l’individuo sarà “omozigote” per quel determinato gene; se sono diversi l’individuo sarà “eterozigote”.
In questo ultimo caso l’allele più forte, quello che verrà espresso, si chiama dominante, l’altro, che non viene espresso (non è fenotipicamente evidente ma è presente nel genotipo), è chiamato recessivo.
Un allele recessivo ha la stessa possibilità di essere trasmesso alla prole del gene dominante.
In genetica questo concetto viene riassunto con i termini di “fenotipo” e “genotipo”.
Il fenotipo è l’espressione visibile del codice genetico, che invece viene chiamato genotipo.
Mentre per molte caratteristiche il genotipo non si palesa facilmente (pensiamo ad esempio al funzionamento di organi o sistemi), per il colore esiste una chiara manifestazione, che ci permette di fare alcune divertenti osservazioni.
Ogni colore di un cavallo è determinato da quello che è scritto nel patrimonio genetico e viene trasmesso alla progenie con chiare regole matematiche.
I colori di base
Su questi concetti possiamo cercare di capire come viene determinato il colore di un cavallo.
Il colore di base del mantello è determinato da due geni, cioè due posizioni nei cromosomi, che influenzano la produzione dei pigmenti dei peli.
Uno è il gene chiamato “Agouti”,
l’altro il gene “Extension”.
Alla posizione Agouti possono esserci due alleli, il dominante A e il recessivo a.
Allo stesso modo il gene Extension ha gli alleli E, dominante, ed e, recessivo.
1) Se un cavallo ha due forme recessive di Extension, cioè ee, qualunque sia l’Agouti presente avrà un mantello sauro.
2) Se un cavallo ha almeno un E, sarà baio o morello a seconda dell’allele Agouti presente.
Sarà baio se avrà almeno una copia di A.
Sarà morello se è aa.
Un cavallo baio avrà uno dei seguenti genotipi: AaEe; AaEE; AAEe; AAEE. |
Un cavallo morello avrà uno dei seguenti genotipi: aaEe; aaEE. |
Un cavallo sauro avrà uno dei seguenti genotipi: aaee; Aaee; AAee. |
I tre colori base del cavallo sono quindi:
– il sauro
– il baio
– il morello.
Sorprendentemente, dagli studi effettuati sui reperti fossili, appare come i mantelli ancestrali, cioè quelli presenti nel cavallo prima della domesticazione, fossero il baio, il morello e il leopard, quello tipico di Appaloosa e Knabstrupper.
Tutti gli altri mantelli, dal sauro, al grigio, al palomino o il pezzato, sono apparsi dopo la domesticazione, in quanto non favorevoli alla sopravvivenza dell’animale nell’ambiente selvatico.
I geni modificatori
I geni modificatori sono tali da “intralciare” il lavoro dei geni principali, modificando il prodotto finale.
Il più diffuso e noto è il gene del grigio, per il quale esistono due alleli, G e g. G, il gene del grigio, è dominante sul gene ancestrale.
Il cavallo che ha nella posizione di questo gene due g, cioè gg, non sarà grigio.
Se è presente una o due copie di G, il cavallo diventerà grigio nel corso della sua vita, indipendentemente dal colore di base.
Pertanto il cavallo grigio è un cavallo che nasce con il suo colore di base, baio, sauro o morello, ma diventa grigio con il tempo per effetto di G, che provoca la perdita della melanina prodotta.
Il cavallo grigio che porta due copie di G, cioè è omozigote, avrà solo figli grigi.
Se invece ne porta una sola copia, esiste il 50% di possibilità che il puledro non sia grigio.
Esistono molti altri geni modificatori, legati per lo più alla diluizione delle melanine, feomelanina o eumelanina, che agiscono sempre sul colore di base del cavallo.
Alcuni di questi sono molto attraenti, come il gene del palomino, del dapple o del dun, altri poco riconoscibili, come lo champagne.
Il nostro interesse però in quanto allevatori di cavalli maculati, come i Knabstrupper, è per i geni del leopard.
Questi geni sono in comune con l’Appaloosa, il Norico, il British spotted pony, razze che differiscono dal Knabstrupper per tutto (morfologia, attitudini, carattere), eccetto che per il colore.
I mantelli maculati
La genetica dei mantelli maculati è estremamente affascinante, e ancora non completamente nota.
Esiste un progetto internazionale, chiamato “Appaloosa gene project”, nato in Canada nel 2002 grazie all’incontro tra la Dottoressa Sheila Archer, appassionata allevatrice di Appaloosa, e la Dottoressa Rebecca Bellone, allora ricercatrice all’Università di Tampa, in Florida.
Il progetto si pone l’obiettivo di chiarire le relazioni tra genotipo e fenotipo nei cavalli maculati.
Gli studi di biologia molecolare sono effettuati dalla Dottoressa Rebecca Bellone, Professore alla UC Davis in California (e di origine siciliana), autrice per altro con il Dr Sponenberg di un affascinante libro sulla genetica del colore dal titolo “Equine colour genetics”.
La Prof. Bellone ha identificato per prima il gene Lp e il gene PATN1.
Giocano nel determinare il mantello di un knabstrupper, di un norico o di un appaloosa due geni principali e una serie di geni modificatori.
Il gene Lp è responsabile della comparsa delle macchie, Il gene PATN determina l’estensione del bianco.
Il gene LP è un gene dominante a penetranza incompleta, la cui espressione viene mediata da altri geni, sia facilitatori che inibitori.
Il gene si trova sul cromosoma 1 del cavallo, ed è costituito da un inserto di 1378 basi di origine retrovirale nell’introne 1.
È il risultato cioè della inserzione nel DNA del cavallo di un DNA di un virus che in tempi antichissimi lo ha infettato.
Che quella inserzione fosse favorevole è dimostrato dal fatto che il gene mutato si è diffuso ampiamente nei cavalli pre-domesticazione, in quanto il cavallo maculato risultava più difficilmente identificabile dai predatori.
Il gene LP agisce modificando la diffusione e la espressione dei melanociti, e quindi determinando una loro irregolare espressione nel mantello.
In aggiunta al gene LP, il gene PATN rappresenta il suo più importante modificatore.
PATN 1 è un gene dominante, la cui presenza in omozigosi o in eterozigosi non modifica l’effetto.
È coinvolto nella risposta al danno al DNA e condiziona la morte dei melanociti.
In associazione con LP condizione la estensione del bianco nel cavallo maculato.
La genetica di base, basandoci su questi due geni, ci dice che se un cavallo ha un gene LP e uno o due geni PATN, il suo mantello sarà leopard.
Un cavallo omozigote per LP, sempre con almeno un PATN, sarà un cosiddetto “fewspot”, o “whiteborn”, cioè un cavallo che, dal giorno della nascita, è bianco.
Possiamo immaginare il gene LP come una coperta con buchi, che fa apparire il colore sottostante (baio, sauro o morello).
L’estensione della coperta è su tutto il cavallo se c’è PATN, solo sulla groppa se non c’è PATN.
Quando LP è in omozigosi, si sovrappongono due coperte con buchi in posti diversi, per cui il cavallo risulterà quasi totalmente bianco.
Alcune macchie saranno visibili sotto il bianco, e alcune rare macchie appariranno con l’età.
La cute è comunque scura, eccetto intorno agli orifizi.
Se il cavallo ha il gene LP, ma non ha PATN, avrà una coperta macchiata; se ha due LP e nessun PATN sarà “snowcap”, cioè con coperta bianca.
Sul rapporto tra Lp e PATN si vede la differenza selettiva tra Appaloosa e Knabstrupper, per lo più effettuata inconsapevolmente, prima di conoscere la genetica: nei primi si ricercano i mantelli con coperta, quindi eliminando dalla selezione sempre più il PATN, nei secondi si ricercano soprattutto i mantelli leopard, quindi mirando alla presenza di PATN.
Esiste anche una forma di LP che determina il roano.
Molti cavalli dotati di LP presentano una trasformazione roana con l’età.
Il roano dell’LP è però geneticamente diverso dal roano classico.
Il roano LP inizia con l’età partendo dalla parte posteriore del cavallo per arrivare con il tempo agli anteriori e a testa e collo.
Il roano classico inizia invece davanti e riguarda tutto il corpo.
Non si sa ancora se il roano legato all’LP sia una variante del gene LP, oppure se più facilmente l’effetto roano sia determinato dalla interazione di un altro gene sconosciuto (un gene modificatore) con LP.
Spesso i cavalli con il gene LP hanno anche una criniera con crini radi e fini e una coda chiamata “rat-tail”, o coda di ratto, per la scarsità dei crini.
Si tratta probabilmente di un gene modificatore, che si tenta di eliminare con la selezione.
Un’altra caratteristica del gene LP, ignota ai più, è quella della cecità notturna.
Tutti i cavalli omozigoti LP/LP, sia appaloosa sia knabstrupper, hanno la cecità notturna.
Si tratta di un difetto di attivazione dei bastoncelli.
Non è un difetto, né una caratteristica letale, tanto che è presente anche nei mustang selvaggi.
Basta una luce affinchè i cavalli vedano benissimo di notte.
Al buio, a differenza degli altri cavalli che vedono ombre, il cavallo omozigote per LP non vede nulla.
Pertanto non bisogna entrare improvvisamente nel loro box di notte senza accendere la luce, per non farli spaventare.
Possono però tranquillamente fare concorsi in “notturna”, con illuminazione artificiale.
Sarebbe però troppo facile spiegare con due soli geni la colorazione di Appaloosa e Knabstrupper.
L’espressione di macchie e l’estensione del bianco sono condizionate da diversi altri geni modificatori, in gran parte poco conosciuti.
Il gene Sabino, responsabile del bianco sulla faccia e delle balzane, incrementa l’espressione di bianco.
Il gene dello Splashed white, se presente, rende più colorato il cavallo, soprattutto nelle varianti SW1, SW2, SW3 e SW4, così come gli alleli W5, W10 e W20 del “Bianco dominante”.
Esistono poi geni soppressori, che cancellano quasi totalmente l’espressione di LP, lasciando solo le cosiddette “caratteristiche” (sclera, zoccoli striati e pelle pigmentata agli orifizi).
Anche il sesso condiziona l’espressione delle macchie.
I maschi sono in genere più colorati, con macchie più grosse e maggiore estensione del bianco.
In conclusione, la conoscenza degli elementi di genetica del colore permette di ottimizzare uno dei quattro obiettivi di selezione del Knabstrupper, quello che serve a caratterizzare la razza.
Gli altri obiettivi, e cioè conformazione, movimenti e temperamento (la famosa “mind” dei knabstrupper) servono a caratterizzare un buon cavallo, e vanno ugualmente perseguiti.
N. 2 Marzo / Aprile 2018
Genetica e razze a rischio di estinzione. Medico esperto di riproduzione, si occupa di genetica delle razze-popolazioni a rischio di estinzione. Appassionato allevatore di Knabstrupper.