Quattro cavalli morti negli ultimi due mesi. Il più famoso (suo malgrado) è l’ultimo: si chiamava Allstar B, 17 anni, abbattuto dopo un gravissimo incidente in gara a Aachen in Germania lo scorso 2 luglio.
Prima di lui hanno perso la vita in simili circostanze Ventura de la Chaule, 13 anni, e Ms Poppins, 11 anni: entrambi caduti durante un concorso a Bramham, nel Regno Unito, a inizio giugno ed entrambi abbattuti perché le fratture erano insanabili (quanto insanabili non lo sapremo mai: di certo i cavalli non avrebbero mai più potuto gareggiare, diventando solo un costo inutile per i proprietari). Prima di loro era toccato a Arctic Soul, 19 anni, morto a metà aprile a Weston Park, sempre nel Regno Unito, colto da un infarto poco dopo aver tagliato il traguardo.
Tutti gareggiavano nel famigerato CROSS COUNTRY.
Ma cos’è il cross country? È una gara di salto ostacoli e di velocità che si svolge all’aperto, in un contesto di campagna. In un percorso molto lungo, che può arrivare fino a 5 chilometri, vengono posizionati numerosi ostacoli (fino a 40 nei livelli più alti), che riproducono ostacoli naturali: siepi, tronchi, fossati, laghetti e altro del genere. Tutta roba che normalmente un cavallo aggirerebbe e non certo salterebbe, se non costretto, visto che per istinto di sopravvivenza i cavalli evitano di mettere le proprie gambe in pericolo e di ferirsi diventando facili prede. Nel cross country conta anche la velocità e questo, abbinato alla rischiosità del percorso, spiega i tantissimi incidenti e soprattutto le morti.
La lunga scia di sangue conta, secondo le statistiche del sito horsetalk.co.nz, oltre 72 cavalli morti negli ultimi 10 anni: numeri impressionanti per una disciplina inserita addirittura nelle Olimpiadi, all’interno del Concorso Completo di equitazione che comprende gare di dressage, salto ostacoli e cross country, tutte con lo stesso cavallo e svolte nell’arco di 1-3 giorni.
E proprio alle ultime Olimpiadi di Tokyo è avvenuta la morte che ha fatto più scalpore, visto il contesto: Jet Set, 14 anni, è stato abbattuto lo scorso agosto dopo una caduta e un grave infortunio.
Questa follia ci fa capire a che punto sia calcificata l’idea che il cavallo “serva” a questo: c’è tutto un mondo che gira intorno a questa convinzione, gente che proietta sull’animale il proprio senso di agonismo e di competizione. Accade in tutti gli ambienti in cui si vedono cavalli esibirsi e gareggiare, ma quello degli sport equestri è certamente uno degli ambienti più ipocriti in assoluto, quello in cui le lacrime di coccodrillo scendono forse più copiose.
«Il cavallo non è un animale sportivo: il suo coinvolgimento nello sport umano è quanto di più forzato ci possa essere per un animale che per sua natura ha bisogno solo di stare in branco coi suoi simili e di muoversi liberamente in ampi spazi, pascolando. Il cavallo non ha il senso della competizione sportiva che abbiamo noi umani e istintivamente non salta gli ostacoli, ma li aggira fin quando è possibile. Non fa volentieri allenamenti intensi, non passa volentieri le sue giornate chiuso in un box, non viaggia volentieri per migliaia di chilometri ogni anno a fare gare e concorsi: tutte queste cose le subisce per volontà di chi ritiene sia giusto usarlo per attività che sono a uso e consumo umano. E chi dice il contrario sa di mentire» Sonny Richichi, presidente IHP.
(foto: horsetalk.co.nz)